Joyce Lussu, «Fronti e frontiere» (1945)
Introduzione
Grazie ad una nuova edizione di Fronti e Frontiere((L’edizione qui citata è quella pubblicata da Abbot nel 2021. Essa riproduce la prima versione del volume, del 1945.)), possiamo rileggere oggi le memorie degli anni di clandestinità in Europa di Joyce e Emilio Lussu (1940-45). Un volume necessario per capire lo spirito di sacrificio di una coppia di intellettuali che ha lottato in prima linea, con arguzia, ingegno e sacrificio, in nome della libertà e della Resistenza antifascista. Il volume, ad opera di Joyce Lussu, permette di riportare all’attenzione, oltre alla ricchissima esperienza di vita dell’autrice, la sua altrettanto ricca produzione letteraria. La ricordiamo infatti per le riflessioni sulla storia, il folklore, la politica e la società. Negli anni di clandestinità imparerà a falsificare documenti, a decifrare codici, a comunicare in Morse, a maneggiare armi, a rivestire numerosi ruoli sociali e a raggirare così soldati e ufficiali. Per le sue imprese antifasciste, di straordinaria pericolosità, ricevette il grado di capitano nelle brigate Giustizia e Libertà e le fu conferita, nel dopoguerra, la medaglia d’argento al valor militare.
La narrazione, che si apre con la fuga dalla Francia occupata dai tedeschi, si struttura in capitoli che si svolgono in diverse parti d’Europa. Ognuno di essi narra una tappa della clandestinità della coppia attraverso l’Europa: Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra, Svizzera, fino al ritorno in Italia. Per capire l’importanza dell’esperienza di vita narrata, ed apprezzarne così anche le pagine, si propongono qui tre piste di analisi e riflessione: la questione del fronte e della frontiera, la questione della lingua e dell’identità, il ruolo delle donne. Oltre a quelle proposte, ce ne sarebbero numerose altre da esplorare, come ad esempio le dinamiche dell’avventurosa relazione amorosa e politica tra Joyce ed Emilio, che si perdono e si ritrovano più volte durante gli anni di clandestinità.
Il fronte e la frontiera
La questione è evocata già dal titolo "Fronti e frontiere". Da una parte il fronte, ovvero la dimensione militare e bellica, dall’altra la frontiera, lo spazio di demarcazione geografica, politica e linguistica. Entrambe si intersecano continuamente nella narrazione, dimostrando l’abilità dell’autrice di metterne in luce i punti di contatto e le problematiche. Nel volume sono presenti numerosi esempi di passaggi di frontiera, come quando la coppia riesce ad approdare in Svizzera, terra di salvezza, per poi decidere consapevolmente di tornare in Francia, luogo di guerra. La frontiera è anche la linea che definisce il limite tra la vita e la morte, tra la pace e la guerra, tra la libertà o il carcere. Lungo questo tratto prendono corpo i sogni e le speranze dei fuggitivi, si muovono sentinelle attente ad ogni minimo movimento, passeggiano le informatrici dei partigiani trainando, protette dall’apparenza innocua fornita dalla maternità, passeggini pieni di armi. Nelle città e nei villaggi di frontiera, tra la Svizzera e le Alpi dell’Alta Savoia, sono ambientati interi capitoli. La coppia decide di trasferirsi per lunghi periodi in questi luoghi, tramando piani di fuga di personaggi del calibro del deputato socialista Emanuele Modigliani. A fare da sfondo a questi salti di frontiera è l’Europa in guerra, un immenso fronte in cui dilagano saccheggi, violenza e povertà.
La lingua e l'identità
La clandestinità narrata è strettamente legata alla questione dell’identità. Per proteggersi, la coppia si vede obbligata ad assumere svariati profili, come quello di ricchi possidenti corsi o di umili savoiardi. Joyce afferma che "uno dei principi della vita illegale è di difendere la propria falsa identità" (p. 173). Tra le sue numerose missioni ci sarà dunque quella di apprendere la minuziosa arte della realizzazione di documenti falsi. Affinando con tenacia la tecnica e addossandosi la gravosa responsabilità di inventare storie e identità credibili, riuscirà a fare in modo che molti clandestini prendano la via di fuga per la salvezza.
Assumere nuove identità attraverso l’Europa significa anche muoversi attraverso le lingue. Joyce Lussu, che beneficiò di un’istruzione internazionale((Joyce Lussu crebbe in un ambiente bilingue italiano/inglese. Sua nonna materna, Margaret Collier, era una nobile inglese. A seguito di un’aggressione fascista, il padre Guglielmo Salvatore Paoletti decise di trasferire la famiglia in Svizzera a Begnins. Da adulta prosegui gli studi universitari in Germania (Heidelberg), Francia (Parigi) e Portogallo (Lisbona). Nell'autobiografia Portrait, pubblicata nel 1988 da Transeuropa e ripubblicata nel 2012 da L'Asino d'Oro, Joyce Lussu descrive a lungo la sua infanzia e la sua formazione internazionale.)) e parlava fluentemente l’italiano, il francese, il tedesco e l’inglese, si muove agilmente da una lingua all’altra, configurandosi ella stessa come ponte tra persone di diversa origine ed estrazione sociale. La conoscenza delle lingue diventerà lo scudo principale nel mondo di barbarie in cui si troverà ad agire e le permetterà a più riprese di captare le battute e i pensieri a voce alta dei gendarmi e dei soldati, di preparare una difesa credibile e dunque di salvarsi durante gli interrogatori e i posti di blocco. In diversi momenti infatti sarà indagata, interrogata e fatta prigioniera. La lingua è anche la capacità di eloquio e il potere di persuasione, grazie ai quali la scrittrice riuscirà a entrare addirittura in confidenza con i nemici e acquistarne la fiducia. Non mancano episodi al limite del tragicomico, come quando la coppia condividerà un passaggio da Annecy ad Annemasse con un commissario di polizia "e durante il tragitto parlammo di sport invernali, di sanatori, dei nostri nipotini Michele e Luisa così malati (...). I controlli di polizia furono superati magnificamente con quel commissario a bordo." (p. 121). L’identità italiana, presente ma taciuta, emergerà con prepotenza in occasione del rientro in patria, quando la scrittrice ritroverà i luoghi familiari e tutto il senso della battaglia all’estero: "tutto mi metteva di buon umore, anche l’industriale in paste alimentari. Mi bevevo quei miei compatrioti come ci si disseta dopo una lunga arsura. Mi pareva straordinario, fenomenale che tutti, uomini donne e bambini, discorressero così in italiano, correntemente, senza difficoltà. E che sollievo poter parlare italiano di continuo, senza preoccupazioni, non essere più costretta a esprimermi in una lingua non mia, a sorvegliarmi sempre per non tradirmi come straniera. Era una cosa stupenda. (p. 189)
Le donne
La questione delle donne appare in filigrana attraverso l’opera, seppur centrale per l’autrice tanto da aver intitolato i capitoli con il nome delle donne incontrate in quegli anni. Si tratta spesso di figure apparentemente marginali nella storia ma che rappresentano in realtà le fondamenta stabili sopra alle quali i Lussu potranno costruire e organizzare la resistenza antifascista. Attraverso questo tributo la scrittrice intende estrarle dall’oscurità dell’anonimato e omaggiarne la memoria per essere state presenti in momenti-chiave, fornendo assistenza materiale o preziose informazioni, permettendo così alla coppia di concretizzare i progetti di libertà. Pur menzionando donne di eterogenea estrazione sociale (contadine, figlie di albergatori contrabbandieri, amanti di industriali, nobili cadute in disgrazia, donne soldato, sindache di minuscoli villaggi, staffette e collaboratrici, duchesse ecc), una stima particolare è portata alle donne del popolo. A proposito di Cristina scriverà "(...) Se fosse stata allevata in un ambiente borghese, sarebbe diventata una donna puramente intellettuale, senza radici nella realtà della vita, con la testa tra le nuvole di un’esistenza artificiosa e fittizia. Ma per fortuna era un’operaia, e la ricchezza della sua vita interiore si equilibrava nel modo più felice con un’esperienza pratica di lotta, di lavoro e di rinunzie" (pp. 181-182). Joyce Lussu descrive anche l’esperienza del carcere con altre donne. Una particolare attenzione viene posta alla narrazione delle preoccupazioni, dei colpi del destino, delle nevrosi ma anche delle qualità delle compagne di cella. Le sostiene psicologicamente ("« Vi avverto » dissi « che qui è proibito piangere »", p. 164), le stima, le incoraggia a trasformare lo spazio di reclusione in un luogo di condivisione e solidarietà reciproca. Joyce Lussu, nell’esperienza dolorosa e bruta del carcere, si rende cosi portatrice di una lucida lezione sul valore della “sorellanza”.
Conclusioni
Come gran parte della produzione di Joyce Lussu, anche questo volume è difficilmente scomponibile e definibile, per la ricchezza degli spunti e delle riflessioni. Le pagine permettono di ritrarre con precisione il profilo poliedrico dell’autrice. Ne emerge una personalità dall’intelligenza acuta, una partigiana coraggiosa, dal sangue freddo, noncurante del rischio e pronta anche a gettarsi fisicamente addosso al nemico pur di assolvere la missione assegnata. Le pagine sono animate da sentimenti di vigore e fierezza di una donna che non si sottomette neanche in carcere o durante gli interrogatori. Attraverso le buone maniere, l’empatia, l’istruzione e l’eloquio Joyce riesce a piegare gli avversari, mettendo i propri privilegi al servizio della comunità. La fiducia nella lotta e la speranza per il futuro prendono corpo nel dialogo con Emanuele Modigliani:
Il Patriarca era sereno e, con delicatezza, non mi faceva punto pesare gl’insuccessi e i pericoli che gli avevo fatto correre. « Per me è gia un successo », diceva « essere sfuggito alla Gestapo ed essere giunto qui. Indietro non torno di certo. E se anche, nel peggiore dei casi, non mi resterà che costituirmi alla Commissione d’armistizio italiana, avrò la coscienza tranquilla di aver tentato il possibile». « Macché Commissione d’armistizio!» facevo io, atterrita a questa prospettiva. « Oggi mangi le tagliatelle della signora Maria, e mettiamoci in forze per il tentativo di domani» (p.153).
Il tema portante del libro è l’invito a rimanere in allerta, ad operare una critica caparbia e strutturata del sistema e del potere politico e, se reputati ingiusti, a ribellarsi contro coloro che lo rappresentano. Joyce Lussu affida questo messaggio al monologo del soldato tedesco, posto a conclusione del volume : "quando verrà un ufficiale, ci metteremo sempre sull’attenti. Finché ci saranno ufficiali, continueremo ad ammazzare e a farci ammazzare" (p.239). Attraverso quest’opera l’autrice intende trasmettere una preziosa eredità ai posteri, invitandoli a reagire e a non rimanere indifferenti e passivi.
Collegamenti interni
- Joyce Lussu, Il libro delle streghe (1990), fiche de lecture d'Elena Perrello
- Marina Addis Saba, «Partigiane - Le donne della resistenza» (1998), fiche de lecture de Morgane Recco
Note
Pour citer cette ressource :
Elena Perrello, Joyce Lussu, Fronti e frontiere (1945), La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), décembre 2023. Consulté le 14/12/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/litterature/bibliotheque/fronti-e-frontiere-joyce-lussu-1945