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Marina Addis Saba, «Partigiane - Le donne della resistenza» (1998)

Par Morgane Recco : Studentessa - ENS de Lyon
Publié par Damien Prévost le 02/03/2012

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Scheda di lettura del saggio ((Partigiane - Le donne della resistenza)) di Marina Addis Saba, pubblicato da Mursia nel 1998.

 

Introduzione

Si tratta di un libro sul posto e sui diversi ruoli delle donne nella Resistenza italiana. L'autrice ha fatto degli studi sul fascismo e si è specializzata in Storia delle donne. L'autrice è riuscita a ricostruire le vicende di oltre 200 donne; ricerca che non è  mai stata tentata in precedenza. Esistono  dunque numerose storie che mostrano l'importanza delle donne nella Resistenza però non hanno ottenuto molti riconoscimenti da parte delle istituzioni e della società in generale. Per ciò, questo libro è importantissimo perché ha come finalità quella  di riconoscere il loro ruolo e di rendere loro omaggio. Questo libro si iscrive in una volontà di rinnovo della storiografia su questo periodo; infatti, l'autrice vuole mostrare la complementarità fra gli uomini e le donne, vuole mostrare che sono due tipi di resistenza, di atti però che sono entrambi fondamentali. Va di pari passo con la teoria di genere che sottolinea queste relazioni di complemento; poiché gli orientamenti storiografici non hanno permesso di studiare le specificità del ruolo delle donne e quindi la storiografia non le colloca dove meritano. L'autrice ha dunque voluto trattare questa questione sotto l'angolazione di  genere. Possiamo dunque studiare questi ruoli diversi delle donne e la loro importanza decisiva nell'elaborazione di una Resistenza organizzata. Inoltre,  vedremo le due direzioni dell'azione femminile: quella di resistere e di dare forza ai perseguitati con mille attività di assistenza e una direzione più politica.La prefazione di Angelo del Boca (scrittore, partigiano e storico italiano) riassume bene l'ambizione dell'autrice: far capire che senza le donne, la Resistenza italiana non sarebbe stata un fenomeno cosi rilevante.

Per studiare questo, possiamo presentare il libro seguendo la divisione in capitoli perché ogni capitolo tratta di un aspetto specifico.

Per cominciare, l'autrice ha scelto una citazione di Ada Gobetti (insegnante e giornalista italiana) che sottolinea i ruoli molteplici delle donne nella Resistenza. A tale proposito, ricordiamo due espressioni: Nella Resistenza la donna fu presente ovunque e fu il tessuto sotterraneo della guerra partigiana.

1. Prigioniere - Dall'antifascismo alla lotta di popolo

La Resistenza al fascismo inizia prima del regime soprattutto con la resistenza alle violenze delle squadracce dei fascisti. Le donne vi sono coinvolte per lo più come parenti dei perseguitati perciò non si tratta ancora di una vera e propria scelta.

L'autrice si sofferma sulla differenza dei vestiti: la donna non porta mai una divisa perché deve ingannare i nemici con la sua apparenza esteriore. Non portano una divisa, conservano la loro apparenza femminile normale. Questo rappresenta un elemento importante di differenziazione perché la divisa è legata nella mente della gente all'azione diretta, alla forza e dunque le donne con questi abiti del quotidiano non rappresentano nella loro apparenza l'idea di forza e di combattimento per esempio.

Sin dall'inizio e in tutto il libro, l'autrice fa un elenco  delle donne con i nomi precisi, ciò rende queste donne vive, quasi presenti e non più anonime, non più secondarie.

Marina Addis Saba presenta le carceri come un universo di tormenti, dà molti esempi di testimonianze di donne imprigionate in vari luoghi d'Italia. Riportiamo l'esempio di Carla Angelini, rinchiusa nel carcere di via Tasso a Roma: viene catturata per colpa della sua generosità, capisce che c'è una spia nella sua squadra, vuole tornare a casa per avvisare un rifugiato che nasconde però la sua casa è circondata dai fascisti che l'aspettano.

Le donne hanno conosciuto torture estreme come Rina Chiarini che chiede ai soldati di non picchiarla sul ventre perché è incinta: i soldati rispondono che un figlio di comunista deve morire e la picchiano ancor più ferocemente sul ventre.

Sviluppa molti esempi di donne che vengono torturate ma che non  hanno parlato; permette di fare una riflessione sulla resistenza fisica e psicologica delle donne reputate meno forti, meno resistenti degli uomini eppure loro non hanno per la maggior parte denunciato i compagni.

2. Resistenza quotidiana - Le donne contro la guerra, il fascismo e il nazismo

C'è ancora un'insistenza sul fatto che le donne non portano un aiuto minore o marginale alla Resistenza ma che ne sono laspina dorsale. Possiamo ricordare che vi furono 4563 arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti. Ma le donne non esaltano mai le loro azioni e questo ci permette di sottolineare l'esistenza della categoria di genere che mette in rilievo le differenze fra i due sessi. La storiografia non considera molto l'azione delle donne perché viene paragonata e messa in contrapposizione alle azioni e ai valori maschili: i due sessi non sono individuati, le donne non sono considerate con le loro proprie particolarità.

La Resistenza può essere interpretata come un momento in cui gli italiani vogliono difendere con coscienza la patria e si oppongono al fascismo. Questo è ancora più essenziale per le donne perché è la prima volta che si affermono in quanto cittadine, assistiamo in un certo senso all'entrata delle donne nella storia. Con questo atteggiamento, le donne rompono un atteggiamento secolare di passività: non sono più quelle che rimangono in casa, quasi fuori dalla Storia e che guardano gli avvenimenti senza partecipare.

Dobbiamo anche parlare del concetto di maternage di massa di Anna Bravo che sottolinea così il ruolo importantissimo di assistenza: aiuto per i feriti e per i prigionieri, confezionare abiti caldi per i resistenti in montagne.

3. Resistenza organizzata - I rapporti tra Comitati di Liberazione e Gruppi di Difesa della Donna

Nell'autunno del 1943, alcune donne formarono i GDD (Gruppi di Difesa delle Donne e di assistenza ai combattenti). Possiamo precisare che i GDD sono un'organizzazione unitaria "aperta a tutte le donne di ogni ceto sociale e di ogni fede politica e religiosa, che vogliano partecipare all'opera di liberazione della patria e lottare per la propria emancipazione".

I Gruppi di difesa della donna partecipano per esempio all'agitazione nelle fabbriche; organizzano scioperi contro fascisti e tedeschi e assicurano l'assistenza alle famiglie dei carcerati , dei deportati e dei caduti. Vediamo con questo gruppo una vera politicizzazione; infatti, c'era un legame fra partito comunista e GDD perché quest'ultimo è il risultato di un'iniziativa del PCI. Per esempio, Ada Gobetti è un membro del PCI e nello stesso tempo una dirigente importante del GDD.

Pensando alla sigla, ci poniamo in interrogativo: ma la donna si dedica sempre a un ruolo di assistenza?

Le aderenti decidono di produrre un giornale, Noi Donne, attravverso il quale vediamo la loro volontà di esprimersi.

I GDD vengono riconosciuto ufficialmente dal CLN nell'ottobre del 1944 e diventano un movimento di massa; le cifre ufficiali parlano di 35 000 partigiane combattenti e di 70 000 aderenti ai GDD.

4. Infermiere -  Ruoli femminili nella lotta di liberazione

Furono nella Resistenza civile facendo le infermiere con una notevole capacità di prendere decisioni per nascondere i partigiani feriti come Narcisa Fiorentini, a Firenze, che organizzava un ospedale clandestino nelle case dei ferrovieri.

La cura dei morti è riservata alle donne come il mercato nero che è anche essenzialmente femminile. Nella penuria di beni, le donne fanno mostra di una grande capacità di gestione del denaro. Questo è proprio un'attività di casalinghe quindi sono abituate: manifestano sempre uno spirito di sacrificio per trovare più cibo, panni più caldi...

Un altro aspetto interessante e poco rilevato dell'attività femminile durante la Resistenza è il reperimento e l'amministrazione del denaro necessario alla vita dei combattenti; vi erano difficoltà per trovare soldi per la lotta e per distribuirli.

5. Un ruolo nuovo per le donne in lotta

L'autrice insiste molto sulla novità del ruolo della staffetta, perché non è un'attività tradizionalmente femminile, ma è un ruolo visibile impensabile prima della guerra. Le donne vanno ovunque in  bicicletta o a piedi per portare armi, vestiti, cibo o medicine ai partigiani rischiando moltissimo. Azioni queste che richiedevano molto coraggio e consapevolezza di poter cadere nelle mani del nemico.

La bicicletta è il simbolo di questa libertà!

I motivi per fare questo sono soprattutto la volontà di lottare contro il fascismo, per la patria e di affermare la loro libertà, la loro indipendenza.

Un altro aspetto da sottolineare riguarda la reputazione e la differenza fra il senso di liberazione delle giovani e l'inquietudine delle madri. Per quanto riguarda le violenze sessuali, non troviamo mai un accenno alle violenze sessuali subite dalle donne catturate eppure questi abusi sono stati certamente frequenti poiché sappiamo che è abituale in tempo di guerra. Le partigiane, come le deportate, hanno taciuto sia per la vergogna che ricade sulla vittima, sia  per riguardo ai parenti.

La struttura delle staffette è qualcosa di fondamentale come mostra per esempio una lettera del PCI nell'ottobre del'44 alle staffette: Tu sei un ingranaggio indispensabile. Senza i collegamenti, senza il tuo lavoro, gli ordini, le informazioni non potrebbero giungere.

6. Fattorine - Le donne organizzano e diffondono la stampa clandestina

Durante la guerra di liberazione, ogni movimento ha avuto il suo organo di stampa (La difesa della lavoratrice (Anna Kuliscioff), Donne in lotta delle comuniste).

Nel luglio del'44, nella città già liberata di Napoli, esce il primo numero legale di Noi donne che rappresentava un  punto di riferimento per tutte le donne dell'antifascismo militante.

Le ragazze raccolgono i testi, li battono a macchina, li correggono, li portano in tipografia e poi li distribuiscono.

Le donne non prendono quasi mai posizioni politiche o  ideologiche, non fanno alcuna enfatizzazione delle loro azioni, anzi tendono a sminuirle: molte tengono piuttostto a sottolineare la capacità di sfruttare le situazioni, il legame stretto con le altre donne e anche con i partigiani.

7. Resistenza armata - Una scelta difficile: le donne prendono le armi

Il rapporto donne-guerra è legato al rapporto donne-cittadinanza: fare la guerra per difendere la patria significa che gli uomini sentono di appartenere a questa patria; ciò è problematico per le donne perché non hanno potere politico (come il diritto di voto), sono sempre legate al privato, alla casa dunque è difficile sviluppare questa consapevolezza. Prendere le armi ha quindi anche un significato simbolico.

L'autrice fa riferimento al dibattito attorno all'estensione del servizio militare alle donne: ricorda gli argomenti tradizionali come per esempio il fatto che la donna è la persona che dà la vita, è legata all'idea di tolleranza, all'amore...Ancora oggi possiamo immaginare quanto era difficile per una donna la scelta di contribuire con le armi alla lotta di liberazione, infatti non molte donne hanno fatto questa scelta. Vi era chi prendeva le armi per affermare una partecipazione totale alla scelta resistenziale e chi lo faceva come un'emergenza, una necessità dovuta alla situazione contigente.

Gli uomini ritenevano che non spettasse alle donne prendere le armi, c'erano reazioni negative ma le partigiane hanno saputo guadagnarsi il rispetto.

"C'è, nei confronti delle donne che hanno partecipato alla Resistenza, un misto di curiosità e di sospetto... E' comprensibile ... che una donna abbia offerto assistenza a un prigioniero, a un disperso, a uno sbandato, tanto più se costui è un fidanzato, un padre, un fratello... L'ammirazione e la comprensione diminuiscono, quando l'attività della donna sia stata più impegnativa e determinata da una scelta individuale, non giustificata da affetti e solidarietà familiari."

8. Le ragazze dei GAP - Un amore a Roma

A Roma, vi erano azioni contro i nazifascisti. Queste sono il risultato dell'odio e della rivolta della popolazione davanti alle distruzioni operate dai tedeschi: risveglio di un sentimento nazionale di difesa del paese.

Roma dai primi di settembre del 43 al 4 giugno del 44 è abbandonata, in mano al nemico. Lucia Ottobrini dei GAP afferma Eravamo gente costretta a lottare e non guerrieri in cerca di gloria.

A proposito dei nomi di battaglia: le donne assumono dei nomi diversi da quelli degli uomini: gli uomini prendono nomi che esprimono la forza o un ricordo storico come Robespierre per esempio. Le donne spesso non scelgono il loro nome e assumono un nome comune, talvolta un nome russo (omaggio ai sovietici), talvolta nomi legati alla Natura come Nuvola. Solo alcuni hanno un riferimento chiaro al combattimento come Fiamma o Stella rossa. Forse, possiamo fare un legame col fatto che non portano mai una divisa: nella loro apparenza cosi come nel loro nome non sono legate ad una dimensione di forza, di azione.

L'autrice parla anche dei dubbi dei partigiani quando sono costretti ad uccidere e temono  che le loro azioni possano causare delle rappresaglie.

Esempio famoso del 23 marzo quando i repubblichini disdicono la manifestazione per commemorare la fondazione dei fasci ma i GAP hanno deciso di celebrarla con l'azione più clamorosa e più discussa della Resistenza romana: l'attentato di via Rasella e la conseguente terribile  rappresaglia cioè la strage delle Fosse Ardeatine.

9. Il lamento di Civitella - Le donne raccontano

Dal settembre del 1943 all'aprile del 1945, l'Italia in ogni parte del suo territorio subisce le stragi nazifasciste sulla popolazione civile. Queste stragi si spiegano con il fatto che gli italiani sono dei traditori per i tedeschi dopo l'otto settembre e sono sempre stati considerati razza inferiore.

Possiamo sottolineare che l'estate del 1944 è la più tremenda perché la fine si avvicina. Dall'estate all'autunno le truppe alleate vennero stornate dal fronte italiano per gli sbarchi (Normandia, Provenza) e le donne moltiplicarono il loro impegno per aiutare i partigiani, nascosti nei paesi o ancora uniti in formazione.

L'autrice presenta il racconto di una donna che riuscì a scampare alla morte durante la strage di Marzabotto: Elide Ruggeri. Si tratta di una testimonianza molto forte, racconta le uccisioni di molti bambini, madri e padri, lei sopravvive nascondendosi per due giorni sotto i cadaveri nella fossa comune.

Fa anche il racconto della strage di Civitella mostrando il coraggio delle donne che tornano nel paese dopo la partenza dei tedeschi per recuperare i corpi dei loro morti, li portano in Chiesa, li seppelliscono malgrado la paura del ritorno dei tedeschi.

L'autrice ricorda che è impossibile mettere sullo stesso piano le motivazioni dei partigiani,  le loro azioni e questi stragi, la vendetta dei tedeschi non può essere giustificata in alcun modo.

10. Donne in piazza - Manifestazioni, cortei, scioperi, funerali

Gli scioperi del marzo 1943, in cui una parte della storiografia vede l'inizio della Resistenza, coinvolgono nelle fabbriche del Nord moltissime donne e sono un momento essenziale nella formazione della loro coscienza civile.  Una delle ragioni che dava coraggio alle donne era la volontà di impedire a tutti i costi la partenza dei mariti e dei figli per la Germania. Molte donne sono convinte dalle militanti comuniste o solo antifasciste; si tratta dunque di scioperi politici.

Mentre gli scioperi sono organizzati dall'alto e perciò vedono spesso le donne partecipare sotto la direttiva maschile, ossia di partito, molte sono, dal 1943 al 1945, le manifestazioni nelle quali le donne hanno preso l'iniziativa. Spesso la penuria di cibo e la difficioltà di nutrire la famiglia, cura femminile primaria, sono fra le cause di manifestazioni. Il momento in cui più efficace ma meno riconosciuta si fa l'azione delle donne è l'inverno 1944-1945; inverno durissimo per le formazioni costrette a restare in montagna e per le donne della Resistenza, senza le quali i pochi distaccamenti rimasti in montagna non avrebbero potuto resistere.

In molte testimonianze troviamo la durezza dell'inverno, la fatica di provvedere a tanti giovani, mentre a casa o in fabbrica si continua il solito lavoro, con la responsabilità di procurare cibo, medicine e vesti, di evitare le spie, di agire rapide e ben coordinate: ma la fatica è illuminata dalla speranza perché la liberazione è vicina.

Ma la liberazione sarà per le donne la prima di tante amare delusioni: in un primo tempo ritornano al loro lavoro di sempre in cucina. La Liberazione trova le donne in cucina che provvedono al cibo. Quasi nessuna partigiana ha partecipato alle sfilate della fine della guerra, stanno ai lati della sfilata e applaudono al loro comandante, ai compagni con cui hanno diviso tante fatiche, solo qualche donna sfila con gli altri. Rivediamo la doppia morale, il doppio ruolo, uno per gli uomini che sfilano, gli  eroi,  e l'altro per le donne, a casa.

Per esempio, a Milano quando c'è stata la manifestazione , alle staffette nelle sfilate veniva messa al braccio la fascia da infermiera!

Silenzio delle istituzioni anzitutto ma silenzio delle donne stesse che si sono volontariamente emarginate dalle cerimonie e dalle manifestazioni celebrative per naturale riserbo riacquistato col ritorno alla normalità. Le donne stesse hanno quindi avuto un ruolo nella sottovalutazione della loro azione.

Ci si è abituati così, nel campo storiografico, a trattare la Resistenza delle donne come aiuto, assistenza secondaria rispetto a quella maschile. Possiamo considerare questa esclusione dalle vicende della Resistenza e dalla storia, non solo un deplorevole ritardo culturale ma anche un modello politico di cittadinanza e di società. Il protagonismo femminile è stato ricondotto dalla storiografia ufficiale ad una serie di stereotipi che immancabilmente tendono a collocarlo in categorie non politiche. In questa ottica le azioni delle donne durante la Resistenza divengono invisibili perché non sono mai ritenute come il risultato di una scelta consapevole. Piuttosto sono viste come espressioni, di volta in volta, o di un innato senso materno o di un altrettanto innato pacifismo.

Le partigiane nella grande maggioranza non solo non sono state sollecitate a parlare ma anzi smettono di raccontare. Molte di quelle ragazze che avevano imparato nella vita partigiana a superare e a fare superare ai ragazzi inibizioni e tabù e avevano stabilito con loro un'etica nuova e rigorosa, ritornano alla norma e tacciono.

Le donne dunque hanno subito il silenzio e lo hanno anche praticato: si tratta di un silenzio specifico poiché tornando dai campi o dalla lotta si sentivano ed erano sospettate per tutto quanto atteneva al loro corpo.

Conclusione

Per concludere, questo è anche un libro di storia orale poiché é basato su testimonianze e sentiamo quasi la presenza delle partigiane leggendo i loro nomi. Studiare il ruolo delle donne nella Resistenza permette di dare un significato più esteso, più ampio al fenomeno resistenziale. Pure  nella Resistenza civile rintracciamo una visibilità femminile:  molte donne hanno messo in gioco tutto il loro mondo ed i loro mezzi adattandoli con ingegno alle situazioni e con la consapevolezza di operare una scelta ben precisa.

Questo libro ha anche il merito di riconoscere esperienze storiche, poiché troppo spesso l'esperienza femminile è stata dimenticata nella storiografia ufficiale. Per questo si parla di Resistenza taciuta.

 

Pour citer cette ressource :

Morgane Recco, Marina Addis Saba, Partigiane - Le donne della resistenza (1998), La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), mars 2012. Consulté le 27/11/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/bibliotheque/marina-addis-saba-partigiane-le-donne-della-resistenza