Rosella Postorino, « Mi limitavo ad amare te » (2023)
L'autrice
Rosella Postorino è nata a Reggio Calabria nel 1978 e oggi vive a Roma. Nel 2007 il suo primo romanzo La stanza di sopra (ed. Neri Pozza) ha vinto il Premio Rapallo . Nel 2018 Le assaggiatrici (ed. Feltrinelli), tradotto in 32 lingue, ha vinto vari premi fra cui il Premio Campiello e in Francia il Prix Jean-Monnet. Ha inoltre tradotto e curato opere di Marguerite Duras. Mi limitavo ad amare te è nella cinquina del Premio Strega 2023.
Presentazione del romanzo
Sono stata nella ex Jugoslavia nella primavera del 1996 per portare materiale scolastico e di laboratorio nella scuola di un mio studente, profugo in Italia e proveniente da Sarajevo. A distanza di anni non posso dimenticare ciò che ho visto: un paese distrutto, il pericolo delle mine, la stupenda Sarajevo ridotta in macerie e soprattutto la paura negli occhi del mio studente quando per un errore dell'autista siamo finiti nell'enclave serba. La lettura del libro della Postorino mi ha automaticamente riportato a quei momenti, ai ricordi, all'orrore della guerra, alle conseguenze prodotte sui giovani.
Il titolo del romanzo è tratto dalla poesia del poeta bosniaco Izet Sarajlic “Cerco la strada per il mio nome” ed è inserito nel discorso di un protagonista: "Cosa facevo io durante la Storia? Mi limitavo ad amare te". Il romanzo si articola in quattro parti suddivise cronologicamente dal 1992 al 2011 e così inizia:
Il bambino camminava appiccicato alla madre, tanto che lei si fermò e disse:”perché mi stai addosso, non vedi che inciampiamo?”
Era più forte di lui. Aveva dieci anni, e da cinque viveva nel tormento della sua mancanza, passava la settimana alla finestra, in ginocchio su una sedia ad aspettare. Poi la madre arrivava e il bambino era peggio dei cani che non sanno stare al guinzaglio, sbuffava lei.
[…] Bevve un sorso di Coca-Cola: gliela aveva portata la madre, gli portava sempre qualcosa, chissà dove l'aveva scovata. Lei guardava altrove con gli occhi un po' strizzati, anche se non c'era il sole, ma un cielo di lamiera nel pomeriggio inoltrato. Faceva così ogni volta, quando passava a prenderlo e camminavano senza allontanarsi troppo.
Siamo a Sarajevo quando inizia l'assedio alla città nel 1992 durante il conflitto nella ex-Jugoslavia e i bambini ospitati nell'orfanatrofio di Bjelave vengono caricati su un pullman, scortati da un blindato dell'ONU, diretti in Italia, per essere allontanati dalla guerra. I minori verranno poi affidati in adozione a famiglie italiane e in buona parte non ritorneranno in Bosnia.
È una storia vera e la Postorino intreccia, nel racconto, i fatti storici e l'invenzione narrativa, servendosi della letteratura per indagare la realtà, complessa e contraddittoria. L'autrice ha realmente incontrato, per la scrittura e per interesse personale, alcuni bambini – oggi adulti – con i quali ha anche instaurato rapporti di amicizia.
I protagonisti sono: Omar, che troviamo all'inizio del romanzo, vive nel tormento dell'assenza della madre come un cane che aspetta ansioso il ritorno del padrone. Suo fratello Senadin, detto Sen, di due anni più grande, accetta, invece, di incontrarla come se fosse una zia in visita. Nada, la bambina senza l'anulare, occhi celesti che consolerà il pianto di Omar durante il viaggio verso l'Italia. Danilo, un ragazzo di quattordici anni, che non è orfano, ha i genitori che preferiscono tuttavia allontanarlo temporaneamente dall'orrore e dai pericoli della guerra.
Dopo un viaggio faticoso i bambini vengono imbarcati su un aereo dell'esercito italiano con destinazione Milano, nel cui aeroporto sono accolti da applausi e dopo una notte trascorsa nelle camerate della Protezione Civile, vengono divisi per sesso ed età e smistati in centri e istituti differenti. Diventano profughi, rifugiati.
L'assedio di Sarajevo dura quattro anni, alla fine dei quali, diversamente dalle disposizioni iniziali che avevano previsto un allontanamento temporaneo, i minori non rientrano nel loro paese di nascita. I quattro del romanzo, pur vivendo in contesti differenti, rimangono sempre in contatto e li seguiamo nell'arco di venti anni. Omar e Sem vengono adottati da una coppia ma i rapporti sono complicati; il primo non può amare un'altra madre, sarebbe un tradimento, ha problemi a scuola, fugge, finisce in carcere... Il fratello, invece, si adatta ai nuovi genitori, alla vita in Italia, vuole “essere normale” e dimentica, in parte, la lingua materna. Nada rimane nell'istituto gestito da suore, è brava nelle attività artistiche, troverà un lavoro, diventa una ragazza adulta, diventa madre. Danilo verrà raggiunto dai genitori, nei quali il conflitto ha lasciato profonde ferite, si laurea in Giurisprudenza, si avvia ad una carriera professionale.
Ho volutamente semplificato la trama seguendo i quattro protagonisti; in effetti la narrazione è ben più ampia nello svolgersi delle vicende, nei rapporti anche epistolari fra di loro, nelle descrizioni di ciò che avviene durante il conflitto, nei luoghi italiani che ospitano i minori, nei percorsi del divenire adulti, nel bisogno di amare e sentirsi amati, nell'espressione di un'amicizia solidale, nell'anelito di ricongiungersi.
Il libro così si conclude:
Nel parco, i bambini dondolano sulle altalene, sfrecciano sui pattini, salgono sul trenino che lo attraversa senza fretta, bevono Coca-Cola dalla cannuccia, calciano una palla, sventolano girandole mentre i colombi rifiatano, avanzano come funamboli in bilico sui muretti, storpiano canzoni imparate a scuola, si azzuffano e subito dopo fanno pace, rimandano il più possibile il momento in cui andranno a letto e non riusciranno a dormire per paura di risvegliarsi da soli, sparite le madri, un mondo senza madri, gridano contro questa costante minaccia, così forte che pare euforia, piangono per quello strappo che è già accaduto, e si allarga ogni giorno di più, ma fingono sia per i graffi alle ginocchia, i bambini nel parco sanno tutto...
Proprio questo è "il" tema centrale; accennato all'inizio, ripetuto in conclusione: l'essere figli, tutti siamo figli perché siamo nati. E l'essere figli presuppone, inevitabilmente, un abbandono. Si abbandona il corpo della madre per esistere, per vivere, la famiglia per essere adulti e si è nello stesso tempo abbandonati. I profughi, tutti, sono stati segnati da un distacco, da una perdita dei luoghi e delle persone care.
Nel romanzo accanto all'abbandono, vi sono da una parte le assenze: di una madre, di un padre, di un fratello, degli amici, di una città dove non si può tornare. Queste assenze determinano le scelte dei personaggi narrati che non vorrebbero separarsi, andare via e il loro unico modo di vivere è aggrapparsi a qualcosa, a qualcuno per sentirsi accolto, accettato e amato.
L'altro polo narrativo è quello delle presenze: i genitori adottivi, spesso ingombranti e/o troppo presenti; le suore degli istituti religiosi a volte oppressive e censorie; le proprie radici mai dimenticate.
E non mi pare poco in questa drammatica vicenda dei bambini di Bjelave il fatto di Limitarsi ad amare te.
Nei ringraziamenti finali Rosella Postorino dedica il romanzo a Adis, Amela, Amer, Mirela e Ognjen.
Approfondimenti
- Per una valutazione più ampia del conflitto, è consultabile l'esperienza e il libro di Luca Rastello La guerra in casa (Einaudi, 1998). nell'Entretien avec Luca Rastello.
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Scheda di lettura Margaret Mazzantini, Venuto al mondo (Mondadori, 2008) sul tema di Sarajevo assediata e del desiderio di maternità.
Pour citer cette ressource :
Maurizia Morini, Rosella Postorino, Mi limitavo ad amare te (2023), La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), octobre 2023. Consulté le 23/11/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/litterature/bibliotheque/rosella-postorino-mi-limitavo-ad-amare-te-2023