Margaret Mazzantini, «Venuto al mondo» (2008)
L'autrice
Margaret Mazzantini è nata nel 1961 a Dublino, da padre italiano e madre irlandese, e ha trascorso l'infanzia in giro per l'Europa fino a quando la famiglia si èstabilita in Italia. Si è diplomata all'Accademia di Arte Drammatica di Roma ed è stata interprete di teatro. È sposata con il regista Sergio Castellito ed ha quattro figli.
Ha scritto Il catino di zinco (premio Selezione Campiello, premio Opera Prima Rapallo-Carige), Manola, Non ti muovere (pluripremiato, fra cui il premio Strega), e il monologo Zorro.
A distanza di sei anni da Non ti muovere, pluripremiato e di successo, la scrittrice torna con un nuovo romanzo che ha al centro un tema a lei caro: la maternità a cui si abbina la Storia. La recente storia nella ex Iugoslavia, in particolare nella Sarajevo assediata.
Il romanzo
L' io narrante è la protagonista, Gemma, cinquantenne, che viene informata dall'amico e poeta bosniaco Gojko che nella Sarajevo ormai pacificata, è allestita una mostra fotografica di Diego, marito amato da Gemma, morto da sedici anni e mai dimenticato.
La loro passione era iniziata proprio in questa città, durante il felice periodo delle Olimpiadi invernali nel 1984, e non li aveva più lasciati. Gemma, tornata in Italia, si sposa con il promesso Fabio, ma il matrimonio dura poco e la donna avvia con Diego un rapporto intenso e simbiotico fra le mille difficoltà quotidiane: la ricerca di una casa, di un lavoro, e - tema costante della vicenda - il desiderio di un figlio.
Un desiderio irrefrenabile malgrado il responso medico: ovuli ciechi, embrioni appassiti, sterilità; tanto che Gemma proverà di tutto per non arrendersi: iniezioni di ormoni, fecondazione in vitro, l'adozione, la maternità surrogata e attraverserà le relative fasi psicologiche, dalla delusione alla speranza, alla disperazione fino ad una decisione estrema.
Il figlio nascerà, dietro compenso, dall'unione di Diego e di Aska giovane trombettista punk di Sarajevo.
Nel frattempo è scoppiata la guerra in Bosnia e Pietro verrà al mondo nella Sarajevo assediata; Gemma in modo avventuroso ritorna a Roma con il figlio; Diego incapace di adattarsi alla normalità o attratto dalla guerra muore nella ex Iugoslavia e ritroviamo la protagonista con il nuovo compagno di vita, Giuliano, e il figlio che appunto non ha mai potuto conoscere il padre.
Il richiamo di Gojko, ma anche il desiderio di conoscere le circostanze della morte di Diego spingono Gemma e il figlio a ritornare a Sarajevo, e qui, nella parte finale, si svelano gli accadimenti fino alla scoperta di una dura verità sulla nascita di Pietro.
Questi gli eventi che ruotano attorno a Gemma e al figlio venuto al mondo appunto, in un intrecciarsi continuo nel ricordo e nel reale con gli episodi di guerra e dell'assedio, in uno snodarsi di oltre 500 pagine di scrittura.
Proprio la lunghezza del romanzo ci pare un limite alla fluidità della lettura anche se nello stesso tempo, nella sua composizione, la storia è come ricalcata sulla vita della protagonista: i rapidi capitoli iniziali (la nascita della passione); i lenti centrali (l'ossessione del volere divenire madre); la parte finale (lo svelamento delle verità).
Tale ampiezza permette anche la presenza di un certo numero di personaggi secondari ben caratterizzati: Gojko, poeta, amico, sempre presente; Armando, il padre di Gemma, discreto, utile al momento in cui lei alleva da sola il figlio; Aska, l'utero, ragazza piena di sogni, a cui la guerra riserva un destino imprevedibile e doloroso; l'ebreo serbo Jovan e il "bambino blu" uccisi dai cecchini; lo stesso Pietro, adolescente d'oggi, autentico e simpatico.
Un romanzo affollato, di personaggi, luoghi, temi, di viva umanità e proprio per questo, a nostro giudizio, le pagine migliori sono quelle che descrivono l'assedio di Sarajevo perché il ritmo è incalzante, preciso, dettagliato, vero.
Leggiamone alcuni passaggi:
Da questa collina gli sniper sparavano, giocavano con le loro vittime, colpivano una mano, un piede... avevano tutto il tempo per uccidere, così prima si divertivano un po'. Per me era come sparare sui conigli disse uno di loro in un'intervista. Non si sentiva colpevole... non era pazzo, sadico o altro. Aveva semplicemente perso il senso della vita. La pietà muore insieme al primo che uccidi. Era morto anche lui, per questo sorrideva.
Ed anche:
Quando si esce di casa per comprare del pane, non bisogna fermarsi a guardare, lasciare agli occhi il tempo di vedere, di affezionarsi... bisogna tirare diritto, non discernere un corpo da un sacco di sabbia ma lasciarseli indietro...guardare solo la propria strada. Solo così si può resistere. Non dando ai morti un nome, un cappotto, un colore dei capelli. Lasciarli. Fingere di non averli mai visti. Fingere che non ci siano.
Ed ancora quando Gemma nell'ospedale semidistrutto ha in braccio il neonato Pietro:
Sono di nuovo io. La guerra per me è finita. Il bambino blu è sepolto. Il figlio di Diego è vivo... Non esistono leggi, non esiste giustizia. Esiste solo il coraggio.
Dalle tante immagini come queste, dalla conclusione, quando il lettore si rende conto che gli eventi bellici hanno scompaginato la prevedibile vita dei personaggi e l'ultimo svelamento ci fornisce una diversa verità da quella conosciuta nel corso della narrazione, possiamo concludere che la Mazzantini con Venuto al Mondo ci ha consegnato un notevole e bel romanzo.
Pour citer cette ressource :
Maurizia Morini, Margaret Mazzantini, Venuto al mondo (2008), La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), mars 2009. Consulté le 23/11/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/litterature/bibliotheque/margaret-mazzantini-venuto-al-mondo