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Entretien avec Luca Rastello

Par Maurizia Morini : Lectrice d'italien MAE et historienne - ENS de Lyon
Publié par Damien Prévost le 21/04/2009

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Luca Rastello è giornalista de ((La Repubblica)) e direttore responsabile di osservatoriobalcani.org. Specializzato in economia criminale e relazioni internazionali, è stato direttore di ((Narcomafie)) e de ((L'Indice)). Ha lavorato come inviato in Asia centrale, Caucaso, Corno d' Africa, Centro e Sudamerica. Ha scritto ((La guerra in casa)) (Einaudi, Torino 1998), ((Piove all'insù)) (Bollati Boringhieri, Torino 2006) e, recentemente, ((Io sono il mercato)) (Chiarelettere, Milano 2009).

 


In Io sono il mercato il sottotitolo recita: "teoria, metodi e stile di vita del perfetto narcotrafficante"; ci vuole spiegare perché ha scelto di scrivere una storia di criminali o meglio, come lei invece precisa nel testo, di uomini normali, insospettabili padri di famiglia?

Vorrei precisare che la storia degli insospettabili padri di famiglia è responsabilità dell'editore che ha scritto la quarta di copertina. Credo sia dovuta alla voglia di dare un tono noir a un libro che, presentato come un semplice manuale, non avrebbe grande attrattiva. Ci sono delle storie, in effetti, tutte rigorosamente vere e alcune persino divertenti, ma l'intento è spiegare nei dettagli come avviene il traffico ai più alti livelli, quel traffico che influenza in maniera decisiva l'economia di tutto il mondo e le relazioni internazionali, arrivando a ridefinire i contorni dei concetti centrali con cui definiamo la nostra identità collettiva: concetti come cittadinanza, democrazia, sovranità che, alla luce del valore che le ricchezze criminali hanno assunto nel mercato mondiale vanno ripensati radicalmente. Per esempio è difficile applicarli a una situazione che fa dire a un'agenzia ufficiale del governo Usa (Agenzia nazionale per la sicurezza e l'investigazione, rapporto 1999) che "se il narcotraffico venisse realmente debellato l'economia statunitense subirebbe una flessione fra il 19 e il 22% e quella messicana del 63%." L'economia cosiddetta legale (cosiddetta perché il confine con quella illegale è talmente sfumato da essere indistinguibile) si basa largamente sul credito concesso da interi sistemi bancari che devono la loro sopravvivenza ai capitali di provenienza illecita. Non sto parlando di staterelli lontani o repubbliche delle banane. Un esempio chiarissimo è la Florida, quarto stato degli USA, le cui banche crollerebbero in una situazione di tipo argentino senza i 10 miliardi di dollari annui che i cartelli colombiani affidano loro. Ma se considerassimo il caso della California e dei cartelli messicani, non troveremmo cifre tanto diverse. Ma nel raccontare tutto questo mi è sembrato più utile e interessante cercare di riprodurre lo sguardo dei veri attori di questo teatro occulto del mondo. Credo che produrre consolazione, rappresentare valori positivi, descrivere speranza, siano forme di conciliazione, calmanti emotivi che finiscono per impedire di comprendere realmente ciò che ci sta intorno: più che uno sguardo sul mondo criminale, è utile forse riprodurre uno sguardo criminale sul mondo.

Che tipo di informazione - cartacea, intervista -  ha utilizzato per documentarsi?

Tre anni di interviste incrociate con protagonisti del traffico internazionale. Tempo lungo per verificare i racconti per scremare le autorappresentazioni narcisiste, per individuare contraddizioni o eventuali bugie, per incrociare le fonti. Oltre ai documenti ufficiali delle agenzie di contrasto al narcotraffico, ovviamente. Ma il libro nasce da un interesse risalente almeno a quindici anni fa, quando dirigevo Narcomafie e quando lavorando nella ex Iugoslavia in guerra incontrai in maniera molto concreta il potere dell'economia criminale e la sua capacità di condizionare le relazioni internazionali, i destini individuali, la politica.
 
Leggendo il libro si ha spesso l'impressione di essere di fronte a vicende paradossali, di pura invenzione; è possibile stabilire un confine fra fantasia e realtà nelle descrizioni offerte?

Semplicemente è tutto vero. Non c'è fantasia.
L'io narrante ci appare come un protagonista ironico, molto interessante.
Fa parte dei meccanismi consolatori, ogni rappresentazione dell'avversario costruita sui cliché, sia che si tratti di quelli demonizzanti sia che si tratti di quelli fascinosi cari al cinema, per esempio. Abbiamo di fronte imprenditori di provata genialità organizzativa e commerciale, convinti di incarnare la forma pura del modello economico dominante (per intenderci il liberismo meno la falsa coscienza) e di inventare soluzioni imprevedibili per aggirare qualsiasi ostacolo. Facile che si tratti di persone in qualche modo (anche sgradevole e perverso) interessanti. Negarlo assomiglia a una rimozione, che finisce per favorire la convivenza con questi personaggi e queste dinamiche. E il vero talento dei grandi trafficanti è convivere con i poteri politici in reciproca convenienza. Elizabeth Browning scrisse E quando mai il genio è stato presentabile? In effetti niente calza più a pennello dell'espressione genio del male. Non fosse poi che la normalità delle loro vite, spesso squallide, finisce per ingoiare tutto il genio che incanalato altrove avrebbe forse prodotto altro. Genio senza governo etico, in fondo è l'incarnazione pura del mercato, il sogno proibito di ogni imprenditore. Loro sono in forma perfetta quello che il modello culturale dominante ci propone come sintesi di riuscita sociale.
 

I vari personaggi sono, anche solo in parte, frutto della sua fantasia, e padre Antonio che lei colloca prima della stessa introduzione nel Preludio con teologo?

Assolutamente veri. Il caso di padre Antonio fece un certo scalpore nelle cronache venezuelane una decina d'anni fa.
L'economia illegale, come lei chiaramente racconta, riesce a infiltrarsi nell'economia legale e a condizionarla; crede che in tempi di crisi finanziaria globalizzata questa relazione possa continuare indenne?
Temo che non ci sia scelta. Aggiunga a quello che ci siamo detti sopra sul peso dell'economia criminale nel reggere le sorti del credito legale di interi stati ad alto sviluppo il fatto che solo lo 0,5% della ricchezza che essa produce rimane nei paesi produttori, che sono e restano impoveriti. La maggior parte dei soldi sporchi sono quelli che si infiltrano nelle economie dei paesi più sviluppati che attirano capitali e permettono il riciclaggio. Sono solo esempi, ma chiariscono come la lotta efficace ai capitali criminali non conviene a nessuno. La coca è moneta di tutti gli scambi economici illeciti al mondo, compresi i finanziamenti coperti a stati in guerra. Colpire la produzione poi si è rivelato largamente inefficace, anche se assai pagante sul piano del consenso immediato (la merce più richiesta al mercato straccione della politica), ma nessun investimento serio è mai stato fatto sullo scoraggiamento della domanda (che richiederebbe grandi investimenti in campo educativo e interazione con l'intero complesso delle politiche sociali, roba che non porta voti immediati ed emotivamente motivati) e su misure che colpiscano le ricchezze prodotte dal narcotraffico, il denaro, legislazioni serie antiriciclaggio, misure contro i paradisi fiscali, provvedimenti per la tracciabilità delle transazioni finanziarie transnazionali, controlli sui movimenti di denaro contante sopra certe cifre. Tutte cose impopolari in un contesto liberista.



 

  • La guerra in casa, Einaudi, Torino 1998
  • Piove all'insù, Bollati Boringhieri, Torino 2006
Pour citer cette ressource :

Maurizia Morini, Entretien avec Luca Rastello, La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), avril 2009. Consulté le 27/12/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/xxe-xxie/problematiques-contemporaines/entretien-avec-luca-rastello