Vous êtes ici : Accueil / Arts / Théâtre / Immobilità, Sogni, Movimento. Conversazione con Tino Caspanello all'epoca del Coronavirus

Immobilità, Sogni, Movimento. Conversazione con Tino Caspanello all'epoca del Coronavirus

Par Tino Caspanello : Auteur, acteur, metteur en scène - Teatro pubblico incanto , Stéphane Resche : Post-doctorant, membre du comité italien d'Eurodram - Université Paris-Est Créteil
Publié par Alison Carton-Kozak le 26/03/2020

Activer le mode zen

Dialogue avec Tino Caspanello (1960), auteur et metteur en scène sicilien, autour de la question de l'immobilisation du monde en raison de la crise sanitaire du coronavirus, des rêves comme moteurs de l'action politique, du mouvement en tant que mirage de la productivité mondialisée. L'interview, réalisée en mars 2020, est ponctuée d'extraits de trois pièces de théâtre emblématiques de l'auteur : ((Malastrada)), ((1952 a Danilo Dolci)), ((Orli)).

1. Présentation de l'auteur

Tino Caspanello est né en 1960 à Pagliara dans la province de Messine (Sicile). Auteur, acteur et metteur en scène, il a créé la compagnie Teatro Pubblico Incanto au début des années quatre-vingt-dix. Historien de l’art, il est également diplômé de l’Académie des Beaux-Arts de Pérouse au sein de laquelle il a soutenu une thèse en scénographie sur le théâtre de l’absurde. Son travail théâtral d’auteur, acteur et metteur en scène, tente de reconstruire, dans une vision métaphysique, des fragments de vie, des petites fulgurances quotidiennes que l’on a, trop souvent, du mal à percevoir. Après avoir monté une série de spectacles autour de textes de Rosso di San Secondo, Consolo, Shakespeare, Pirandello, Wilcock, Calvino, Borges, Neruda, Albee ou encore Melville, Tino Caspanello décide de consacrer le travail de sa compagnie à ses propres écritures. L’artiste-plasticienne et actrice Cinzia Muscolino, son épouse à la ville et sa compagne d’aventures théâtrales, lui donne la réplique dans l’ensemble des créations. Dès 1993, naissent ainsi les textes et les spectacles Passio DominiDi notte gli angeliKiss. Puis Mari, qui révèle l’auteur au niveau national. La pièce reçoit d’ailleurs le Prix Spécial du Jury au Premio Riccione per il Teatro en 2003. Viennent ensuite les oeuvres RosaMalastrada (présentée à Udine pour Extracandoni, signalée pour le Premio Tuttoteatro.com – Dante Cappelletti, et lauréate du Premio di Legambiente en 2008), et ‘Nta ll’aria, qui complètent une tétralogie élémentale. Tino Caspanello a également présenté et publié Ecce homoFragileSiraInternoTerre,1952 a Danilo DolciQuasi notte1-2 p.m.Quadri di una rivoluzione (sélectionné par le réseau Eurodram en 2014), Niño, Sottotraccia, Orli – salué par Migrant Dramaturgies Network en 2019 –, Blues, Don't cry Joe, Kyrie, Agnus, Santiago X et, dernièrement, Bar Stella. Il est également l'auteur du roman Salvo (ed. Caracò). 

Tino Caspanello a reçu le Prix de l’ANCT (Association Nationale italienne des Critiques de Théâtre) en 2008. En Italie, toutes les pièces de théâtre de Tino Caspanello sont publiés par Editoria & Spettacolo. En France, Mari [Mer] (créée au Théâtre de l’Atelier à Paris en 2011, dans une mise en scène de Jean-Louis Benoît) et ‘Nta ll’aria [A l’air libre] sont disponibles aux éditions Espace 34. Les pièces Quadri di una rivoluzione [Tableaux d'une révolution] et Orli [Bords] sont proposées par les Presses universitaires du Midi (collection Nouvelles Scènes Italien). Enfin, un recueil de traductions françaises inédites – Malastrada [La Male Route], Kyrie, Santiago X, Interno [Intérieur] – est prévu pour 2021.


 Portrait de Tino Caspanello (© Tino Caspanello)

2. La ballata delle sedie

Stéphane Resche: Caro Tino, il tuo testo Orli (2017), comincia con la "ballata della sedia". Da qualche settimana, il coronavirus ci costringe tutti a stare a casa, fermi, seduti. Oppure no.
Cosa dovremmo fare con queste sedie ? È il tempo di cambiare il mondo ?

Tino Caspanello: Mentre scrivevo Orli, pensavo proprio a un gruppo di persone, diverse tra loro per cultura ed etnia, costrette a convivere in un luogo chiuso. Mi sono posto diverse domande: Che cosa succede? Che cosa fanno durante il giorno? Quali sono i loro comportamenti? Quali strategie di sopravvivenza e di convivenza possono mettere in atto?
Il gioco teatrale mi ha portato a innescare conflitti, a generare fazioni, ma, soprattutto mi ha fatto riflettere sulle possibilità che potrebbero nascere durante la convivenza forzata e subito mi si sono posti davanti due sentimenti – la tolleranza e l’affetto che potevano dirigere il gioco verso l’unica soluzione possibile, cioè quella di rimanere umani nonostante tutto, nonostante le regole, le leggi, i divieti, gli incidenti.
“La ballata della sedia” è una specie di lamento e di preghiera che apre il testo e che accompagna il gioco dell’inizio, perché, in realtà, il testo comincia con un gioco che tutti abbiamo fatto: cercare di prendere posto sulla sedia di un altro, evitando di rimanere in piedi.
Adesso siamo seduti, siamo costretti a rimanere seduti (è una metafora per dire che siamo chiusi in casa) e, al di là delle notizie che arrivano, al di là di verità taciute o nascoste e che per il momento non ci è dato conoscere, penso che l’affetto sia moto di salvezza, perché in esso è contenuta la misericordia, la tolleranza, la lucidità nei confronti degli eventi e anche la capacità critica per non rimanere vittima di troppa informazione e dei virus che circolano liberamente insieme a noi nel mondo.
Adesso, da queste sedie che ci incollano al pavimento, dovremmo riuscire a concentrarci su una proiezione possibile, anzitutto per prendere atto che il mondo non è da cambiare per il semplice fatto che il mondo cambia in continuazione, in meglio e in peggio, e che noi siamo partecipi del cambiamento anche quando pensiamo di non esserne coinvolti, ma se possiamo contribuire al cambiamento dovremmo sempre ricordarci che dalle nostre scelte dipendono quelle degli altri, e viceversa, governi compresi. È tutta una questione di responsabilità alla quale nessuno può sottrarsi. 

Extrait 1 : Orli (2017) [Bords, traduction Antonella Capra & Stéphane Resche, 2020]

DONNA 1
Una sedia per sedermi
Una sedia per riposare
Una sedia per sognare
Una sedia per viaggiare
Una sedia per ridere
Una sedia per amare
Una sedia per ballare
Una sedia per piangere
Una sedia per gridare
Una sedia per volare
Una sedia per morire
Una sedia per dondolarmi
Una sedia per pettinarmi
Una sedia per vestirmi
Una sedia per spogliarmi
Una sedia per appoggiare la mia borsa
Una sedia per stendere i miei vestiti
Una sedia per appendere le mie scarpe
Una sedia per pelare le patate
Una sedia per cucinare la mia frittata
Una sedia per bere la mia acqua
Una sedia per andare in bagno
Una sedia per farmi la doccia
Una sedia per cantare la mia ballata
Una sedia per guardare le stelle
Una sedia per soffiare nel vento
Una sedia per raccogliere la pioggia
Una sedia per toccare la luna
Una sedia per navigare nel deserto
Una sedia per nascondermi dalla morte
Voglio una sedia per sedermi
Voglio una sedia per riposare
Voglio una sedia per sognare
Voglio una sedia per viaggiare
Voglio una sedia per ridere
Voglio una sedia per amare
Voglio una sedia per ballare
Voglio una sedia per piangere
Voglio una sedia per gridare
Voglio una sedia per volare
Voglio una sedia per morire
Voglio una sedia per dondolarmi
Voglio una sedia per pettinarmi
Voglio una sedia per vestirmi
Voglio una sedia per dormire
Tutti hanno una sedia
Io non ce l’ho
Tutti sono seduti
Tutti sono felici
Ma io no.

FEMME 1
Une chaise pour m’asseoir
Une chaise pour se reposer
Une chaise pour rêver
Une chaise pour voyager
Une chaise pour rire
Une chaise pour aimer
Une chaise pour danser
Une chaise pour pleurer
Une chaise pour crier
Une chaise pour voler
Une chaise pour mourir
Une chaise pour me balancer
Une chaise pour me peigner
Une chaise pour m’habiller
Une chaise pour me déshabiller
Une chaise pour poser mon sac
Une chaise pour étendre mes vêtements
Une chaise pour pendre mes chaussures
Une chaise pour peler les pommes de terre
Une chaise pour cuisiner mon omelette
Une chaise pour boire mon eau
Une chaise pour aller aux toilettes
Une chaise pour me doucher
Une chaise pour chanter ma ballade
Une chaise pour regarder les étoiles
Une chaise pour souffler dans le vent
Une chaise pour recueillir la pluie
Une chaise pour toucher la lune
Une chaise pour naviguer dans le désert
Une chaise pour me cacher de la mort
Je veux une chaise pour m’asseoir
Je veux une chaise pour me reposer
Je veux une chaise pour rêver
Je veux une chaise pour voyager
Je veux une chaise pour rire
Je veux une chaise pour aimer
Je veux une chaise pour danser
Je veux une chaise pour pleurer
Je veux une chaise pour crier
Je veux une chaise pour voler
Je veux une chaise pour mourir
Je veux une chaise pour me balancer
Je veux une chaise pour me peigner
Je veux une chaise pour m’habiller
Je veux une chaise pour dormir
Tout le monde a une chaise
Pas moi
Tout le monde est assis
Tout le monde est heureux
Mais pas moi.

3. Etica e guadagno

Stéphane Resche: Sì, però a volte, non ci si rende conto della portata delle nostre azioni, o della nostra inazione. Se si pensa al cambiamento climatico, per esempio, nessuno può sapere se alcuni dirigenti, che fecero delle scelte importanti (sull'energia, o l'industria, o lo sviluppo economico...), decenni fa, erano consci, o meno, della loro responsabilità futura. Si potrebbe quindi pensare che è meglio non far niente, per paura di far male. No? Nel tuo testo Malastrada, per esempio, il ragazzo finisce col non partire di casa. Anche perché i suoi genitori in realtà non volevano che andasse via. Che fine ha fatto? Dobbiamo riflettere di più prima di agire, anche quando il tempo preme come in tempo di virus?

Tino Caspanello: Riflettere prima di agire è la condizione necessaria per ogni essere umano, poi tutto dipende dalla finalità della nostra riflessione e dalla successiva azione. Se agisco perché penso che la mia azione porterà vantaggi a me, alle mie tasche e a chi mi sostiene in questo investimento, senza pensare agli effetti negativi che a medio o lungo termine possono essere generati, allora avrò sbagliato obiettivi e finalità. Ma chi me lo dice? Chi mi ferma? È un problema etico. Ma chi si lascia fermare da un’Etica? Quale pensiero oggi sostiene l’agire umano, se non quello del tornaconto personale?
In Malastrada, il padre ha un progetto: mandare il figlio al di là del ponte, verso l’ignoto, verso un futuro oscuro, in cambio di un tornaconto personale: un misero mucchietto di soldi.
Il testo era anche un modo per dire che i progetti che il sistema spaccia sempre come “crescita”, “costruzione per il futuro dei vostri figli”, alla fine hanno sempre un tornaconto che non si preoccupa degli effetti, non accetta “pensieri”, non vuole limiti, non tollera arresti.

Extrait 2 : Malastrada (2007) [La Male Route, traduction Stéphane Resche, 2020]

Il figlio estrae dalla tasca interna della giacca un grosso mazzo
di banconote.    

Figlio               E cchisti chi ssunnu?
Padre              Sordi, chi hann’a essiri?
Figlio               Chi ssunnu tutti sti sordi?
Padre              I pigghiai stamatina.
Madre             Fammi vidiri.
Figlio               C’ha’ ffari cu ttutti sti sordi?
Padre              Ponnu serviri.
Madre             Ma quanti sunnu?
Padre              E pponnu serviri.
Madre             Tu non ll’ha’ avutu mai tutti sti sordi.
Padre              Ma chi ddici?
Figlio               Unni i pigghiasti?
Padre              Avanti, dammi ddocu.
Figlio               No. Vogghiu sapiri unni i pigghiasti.
Padre              Oh, chi vvoi diri?
Figlio               Chisti non sunnu sordi toi.
Padre              Ah, no? E di cu sunnu allura?
Figlio               Non sunnu i toi.
Madre             Chi mmi ‘mbrugghiasti?
Padre              Iò non ti ‘mbrugghiai nenti.
Figlio               Chi vvoli diri?
Madre             Chi mmi ‘mbrugghiasti?
Padre              Tu u sapivi.
Madre             Non mi dicisti nenti.
Figlio               Chi tt’avi’a ddiri?
Madre             Non mi dissi nenti.
Padre              U sapivi.
Madre             No!
Figlio               Chi?
Madre             Non mi dissi nenti.
Figlio               Ma chi tt’avi’a ddiri?
Madre             Iddu u sapi.
Padre              Sta’ muta!
Figlio               No, parra!
Padre              Sta’ muta!
Madre             Mmi dissi…    
Padre              Cchiudi ssa bucca!
Figlio               Lassila parrari! Lassila parrari!
Madre             Iò non vulia.
Figlio               Chi?
Madre             Mm’ha’ ccridiri, non vulia.
Padre              Puru tu u vulivi.
Figlio               Chi vvulivi?
Madre             Quannu mm’u dissi, iò non vulia,
                       non ti vulia mannari.
Figlio               Unni?
Madre             Pinzava chi era na cosa così…
Figlio              (Indicando con l’indice l’altro lato) Ddà?
Madre             Cu tutti ddi sordi!
Padre             U sapivi.
Madre             No!
Figlio              Vui…
Madre             No, iò no!
Padre              Puru tu, puru tu!
Figlio               Vui vvi pigghiastu…
Madre             No, iddu si pigghiau! Iddu! Iò non sapia nenti!
                       Non vulia!
Figlio               (Gettando i soldi ai piedi del Padre) Vvi pagaru!
Madre             No, a mmia no!
Figlio               Vvi facistu pagari
Padre              Iò non vinnia nenti!
Figlio               A mmia! Bastardu!
Madre             Mutu!
Figlio               Tu muta! Mmi purtasti a so’ cammicia…
Madre             Non ci vulia veniri cca!
Figlio               Mmi cucisti puru a ggiacca…
Madre             Non ci vulia veniri.
Figlio               Incoddu, com’un mortu.
Madre             No!
Il figlio si toglie la giacca e la sbatte in faccia alla madre.

Le fils sort une grosse liasse de billets de la poche intérieure
de la veste.

Fils : C'est quoi ça ?
Père : À ton avis ? Des sous !
Fils : C'est quoi tous ces sous ?
Père : Je les ai pris ce matin.
Mère : Fais voir.
Fils : Qu'est-ce que tu dois faire avec tous ces sous ?
Père : Ça peut servir.
Mère : Mais y a combien là ?
Père : Ben ça peut servir.
Mère : T'as jamais eu autant de sous toi.
Père : Mais qu'est-ce que tu racontes.
Fils : D'où ça sort ?
Père : Donne moi ça, allez.
Fils : Non. Je veux savoir d'où tu sors ça.
Père : Qu'est-ce que t'insinues ?
Fils : Ça peut pas être tes sous.
Père : Ah non ? Et à qui ils sont alors ?
Fils : C'est pas les tiens.
Mère : Tu t'es foutu de moi ?
Père : Pas du tout.
Fils : Qu'est-ce que tu veux dire ?
Mère : Tu t'es foutu de moi ?
Père : T'étais au courant.
Mère : Tu m'as rien dit.
Fils : Qu'est-ce qu'il aurait dû te dire ?
Mère : Il m'a rien dit.
Père : T'étais au courant.
Mère : Non !
Fils : De quoi vous parlez ?
Mère : Il m'a rien dit.
Fils : Mais qu'est-ce qu'il aurait dû te dire ?
Mère : T'as qu'à lui demander.
Père : Tais toi !
Fils : Non, parle !
Père : Tais toi !
Mère : Il m'a dit...
Père : Ferme ton clapet !
Fils : Laisse la parler ! Laisse la parler !
Mère : Je voulais pas.
Fils : Quoi ?
Mère : Crois moi, je voulais pas.
Père : Toi aussi tu voulais.
Fils : Qu'est-ce que tu voulais ?
Mère : Quand il me l'a dit, je voulais pas,
           je voulais pas t'envoyer.
Fils : Où ça ?
Mère : Je pensais que c'était des paroles en l'air...
Fils : (tout en montrant du doigt l'autre côté) Là-bas ?
Mère : Avec tous ces sous !
Père : T'étais au courant.
Mère : Non !
Fils : Vous...
Mère : Non, pas moi !
Père : Toi aussi, toi aussi !
Fils : Vous avez pris...
Mère : Non, c'est lui qui a pris ! C'est que lui ! Moi j'en savais rien !
           Je voulais pas !
Fils : (il jette l'argent aux pieds de son père) Ils vous ont payés !
Mère : Non, pas moi !
Fils : Vous vous êtes fait payer !
Père : J'ai rien vendu du tout !
Fils : Oh que si, moi ! Salaud !
Mère : Tais toi !
Fils : Non, c'est toi qui dois te taire ! Tu m'as amené sa chemise...
Mère : Je voulais pas y venir !
Fils : T'as même cousu ma veste...
Mère : Je voulais pas y venir !
Fils : Directement sur mon corps, comme pour les morts.
Mère : Arrête !
Le fils enlève sa veste et la jette au visage de sa mère.

 


Représentation de 1952, a Danilo Dolci (© Mario Gelardi)

 

4. Bisogna ascoltare i propri sogni

Stéphane Resche: Al momento, si ha l'impressione che ci stiamo rimettendo tutti di tasca nostra con questa crisi sanitaria, probabilmente si capirà più avanti chi ci ha guadagnato.
Ti sei interessato molto al pensiero di Danilo Dolci. Hai anche scritto lavoro teatrale per ricordarlo (1952, a Danilo Dolci). Cosa ci avrebbe detto di fare lui ? Cosa avrebbe fatto ?

Tino Caspanello: Tireremo le somme tra qualche tempo, come si è sempre fatto in questi casi, con l’ipotesi, non completamente imprevedibile, che, nella logica di un sistema che sa come sbilanciare per bilanciarsi, alcuni si ritroveranno ancora più ricchi, pochi, e altri ancora più poveri, molti. Non so se in questo stato di cose le parole e le azioni di un Danilo Dolci, uno qualsiasi, potrebbero ancora trovare credito. Sono tempi questi – e non mi riferisco soltanto all’immediato presente – in cui un’utopia è ancora possibile? Danilo Dolci ci provò, ci riuscì negli anni in cui operava senza sosta in Sicilia, ma a quale prezzo? Quanti lo lottarono e lo denunciarono? Cosa rimane oggi del suo impegno? Chi lo ricorda ancora? Chi ha avuto la forza, il coraggio e il carisma per proseguire su quella sua strada? Sinceramente non so cosa avrebbe potuto dirci o cosa avrebbe potuto fare. In quegli anni Danilo Dolci puntava il dito contro le istituzioni, contro i politici, contro certi prelati, contro la mafia, faceva i nomi, sapeva chi doveva lottare affinché fosse restituita dignità ai più poveri, ai dimenticati. Ma oggi? Potrebbe ancora farlo? Contro chi dovrebbe combattere? Quali nomi potrebbe accusare? Ci sono forze, accordi oscuri, che ormai si dividono il mondo, la ricchezza. Un’altra utopia, certo, che qualcuno aveva vagheggiato un secolo fa. Sono sicuro, però, che Danilo Dolci una cosa l’avrebbe fatta. Senza mai arrendersi e senza lasciare che nessuno si arrenda, avrebbe continuato a chiederci: “Quali sono i tuoi sogni?”.

Extrait 3 : 1952, a Danilo Dolci (2011)

Rumore del treno.
La donna esce.
La madre tenta di allattare il più piccolo dei suoi figli, ma non ha latte.

IL MILITARE
Io non ho nemici, signore. Sì, signore, devo rispondere soltanto alle sue domande. È il mio nemico. Sì, signore, e il nemico va annientato. Io anniento il mio nemico, signore. Come, signore? Mi, scusi. Sì, il nemico va annientato con le armi, signore. Io uccido il mio nemico. Sì, signore. Io uccido il mio nemico, signore. Io non ho mai ucciso, signore. Mi scusi. Io uccido il mio nemico. E come lo uccido, signore? Sì, signore, non devo fare domande. Mi darete un’arma. Bene, signore. Avrò un’arma. E la difenderò, sì, signore. Guarderò in faccia il mio nemico… lo vedrò in faccia? Mi scusi, signore. Guarderò in faccia il mio nemico e lo ucciderò. Sì, signore. Io servo la patria, signore. Io uccido, sì, signore. Io servo la patria, io servo alla patria, signore. Io servo le leggi, signore. Io uccido per difendere le leggi, la patria e i cittadini, signore. Signore, io penso… Mi scusi, signore. No, io non penso. Sì, io agisco, signore. Gli altri pensano, io agisco, signore. Io non devo pensare. No, non penso, signore. Non penso più, signore. Io eseguo solo ordini, signore. Sono già in piedi, signore. Mi scusi. Sì, mi metto… in piedi. Sull’attenti, signore. Faccio la guardia, signore. A cosa devo fare la guardia, signore? Mi scusi, signore. Faccio la guardia. Sì, tutta la notte, signore. No, signore, non sento freddo. Io non sento freddo, signore. Io non devo sentire freddo. Fame, signore? No, non so cosa sia la fame, signore. Non piove, signore. Mi scusi. Sì, signore, sta piovendo. Non mi muovo, signore. Faccio la guardia tutta la notte, signore, e non mi muovo. No, signore, non ho sentito niente, signore. Un rumore, signore? Sì, signore, un rumore. Non lo so, signore, non so dove… Sì, mi scusi, signore, un rumore, qui, davanti a me, signore. Devo sparare, signore? Mi scusi. Sparo, eseguo gli ordini, signore. Sparo. Io sparo. Non so chi ho ucciso, signore. Forse era un cane, signore. No, non era un cane, era un uomo, signore. Sì, signore, l’ho ucciso. Non penso a lui, signore. Non penso alla sua famiglia, signore. Non provo rimorso, signore. No, io non ho compassione. Forse… forse aveva un sogno, signore. No, mi scusi, signore. Non penso ai suoi sogni. Nessuno ha sogni, signore. No, io non ho sogni, signore. Io sono addestrato per difendere, sorvegliare, punire, uccidere. Io non ho sogni. 


Photographie de Tino Caspanello dans Quadri di una rivoluzione (© Maria Catalano)
 

5. Movimento e produttività

Stéphane Resche: Fidandoci dei nostri sogni quindi ritroveremo la forza per muoverci come richiede il mondo e come comanda il cuore?

Tino Caspanello: Se penso al mondo in movimento, escludendo tutte le definizioni fisiche di qualsiasi “movimento”, l’unica definizione che mi viene in mente è: produzione. Un mondo che si muove è un mondo che produce, non importa che cosa. Fin da piccoli siamo educati a produrre qualcosa, incoraggiati a farlo e gratificati quando facciamo qualcosa, anche la cacca. La lode, la caramella, il giocattolo, lo stipendio, etc., quanti premi riceviamo nella vita? Azione e premio. Binomio che ha generato da un lato una immobilità permanente della nostra condizione (la società è ferma all’infanzia), dall’altro una perenne schiavitù. A questo punto, dire che il mondo, a causa del coronavirus, si è fermato, mi sembra soltanto la constatazione di un dato di fatto già in essere: non ci siamo fermati, siamo già fermi e da tanto tempo. L’illusione del movimento ci viene “regalata” da chi sa dosare gli strumenti del governo e della produzione, da chi sa dosarli così bene che anche noi li mettiamo in atto nei confronti di noi stessi o di altri, pensando che sia l’unico modo possibile per una vita dignitosa. Fermarsi però fa paura, perché un mondo che ferma la sua catena di produzione è, paradossalmente, un mondo che spezza le catene, che apre le gabbie, che mostra spazi vuoti che non sappiamo più come riempire, perché siamo educati a riempire i vuoti, non riusciamo a vivere in essi, non lo sappiamo più fare. Queste mie parole non vogliono certamente esprimere gratitudine verso gli incidenti che, come l’attuale virus, intaccano la vita, ma prendono spunto dall’incidente per cercare di fare luce, di comprendere quanto sia grande l’errore di legare la nostra esistenza al mercato, agli affari, alla finanza, di farla dipendere da scelte imposte con l’illusione di essere noi a farle quelle scelte.
Mi viene in mente, non so richiamata da cosa, l’avventurosa storia della Scuola di Chartres, dove si cercava di rileggere Aristotele alla luce di un pensiero cristiano. Quali idee avrebbero agito sul mondo se quella Scuola non fosse stata censurata? Lo stesso si potrebbe dire del nostro sistema: non c’era un’alternativa? Lì c’era del movimento, invece adesso il nostro sistema non genera movimento, anzi, proprio come un virus, agisce in profondità per impedirlo, per fermare ogni tensione umana verso l’astrazione, la libertà, verso una crescita che non può riguardare soltanto l’economia, ma riguarda esclusivamente la consapevolezza del sé e del limite. Abbiamo perduto il centro di noi stessi, ci è stato nascosto, ne siamo distratti e con esso abbiamo perduto la relazione col mondo. La malattia nasce da qui. Poi ci sono i virus, le influenze, le cadute.

6. Références bibliographiques

CASPANELLO, Tino. 2012.Teatro. Spoleto : Editoria & Spettacolo.

CASPANELLO, Tino.2013. Quadri di una rivoluzione. Spoleto : Editoria & Spettacolo.

CASPANELLO, Tino.2016. Polittico del silenzio, prefazione di Gerardo Guccini, postfazione di Christine Resche. Spoleto : Editoria & Spettacolo.

CASPANELLO, Tino. 2018. Sottotraccia. Spoleto : Editoria & Spettacolo.

7. Pour aller plus loin

​Sur la Clé des langues

 

 

 

Pour citer cette ressource :

Tino Caspanello, Stéphane Resche, "Immobilità, Sogni, Movimento. Conversazione con Tino Caspanello all'epoca del Coronavirus", La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), mars 2020. Consulté le 24/04/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/arts/theatre/immobilita-sogni-movimento-conversazione-con-tino-caspanello-allepoca-del-coronavirus