Matteo Garrone, «Dogman» (2018)
Il film di Matteo Garrone trae spunto da una vicenda realmente accaduta. È la storia di Pietro De Negri, conosciuto come Er Canaro, proprietario di un negozio di toelettatura per cani nel quartiere romano della Magliana. Nel febbraio del 1988 De Negri, stanco delle violenze e umiliazioni inflittegli da un ex pugile che abitava nel suo stesso rione, rinchiuse quest’ultimo in una delle gabbie per cani del suo negozio e lo uccise brutalmente. Il fatto di cronaca originario ha però solo la funzione di caratterizzare luoghi e personaggi, poiché il film sfugge a qualsivoglia intento testimoniale per virare decisamente verso un piano allegorico.
L’immagine, la forza icastica dell’immagine è infatti la chiave di lettura archetipica dell’opera di Garrone. Marcello, il Canaro del film, è un uomo tanto mite quanto minuto: fragilità e magrezza del corpo riflettono perfettamente la docilità dell’animo, inetto alla violenza. Le primissime scene dell’opera sembrano quasi alludere ad un risvolto comico-grottesco di tanta piccolezza: alcuni dei cani che Marcello amorevolmente lava nel suo negozio paiono veri e propri titani davanti alla sua microscopica corporatura. Questo stesso dislivello fisico si realizza con Simoncino, il coprotagonista della vicenda, un ragazzo del quartiere dalla stazza abnorme, violento e tirannico, il cui diminutivo è un ovvio, ulteriore tassello di una narrazione che si sviluppa per contrasto, facendo leva su toni favolistici già presenti nell’Imbalsamatore e in Primo amore.
Numerose sono le scene del film in cui i corpi dei due personaggi, filmati in campo lungo, sono lì a testimoniare un’eterna legge del mondo naturale, il più forte che ha la meglio sul più debole. Ma il film non si limita a mettere in scena un paradossale capovolgimento di ruoli, ove sarà infine il più piccolo ad uccidere il più grosso.
Più sottilmente, la pellicola di Garrone parla del sentimento della perdita di identità, e del tentativo di riacquisirla mutando i propri comportamenti. Marcello, ormai abbandonato da tutti nel quartiere per aver aiutato Simoncino a compiere una rapina (aiuto che gli offre, non è necessario dirlo, per pura sottomissione, per timore di nuove vessazioni), perde ogni contatto con il suo milieu sociale. Proprio perché la sua identità di “gentile”, di mite, si è dimostrata inutile (in una delle ultime battute prima della tragedia Marcello dirà: “qui non mi vuole più bene nessuno”), si autoconvince dell’assoluta necessità della violenza.
Emblematica è a questo proposito la scena finale del film, ove Marcello, dopo aver compiuto il delitto, si carica sulle spalle il gigantesco corpo di Simoncino per mostrarlo agli antichi amici del quartiere, sperando così di riottenere il loro amore. È l’alba, e nel piccolo campo da calcio ove sono soliti trovarsi tutti, improvvisamente, inaspettatamente, non c’è più nessuno.
Pour citer cette ressource :
Elena Paroli, "Matteo Garrone, «Dogman» (2018)", La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), avril 2019. Consulté le 06/10/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/arts/cinema/matteo-garrone-dogman-2018