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Mi racconto

Par Francesca M.
Publié par Damien Prévost le 13/11/2007

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Bologna nei primi anni Settanta, la militanza nei gruppi extraparlamentari e con le donne, le letture e le esperienze personali, sessualità, corpo, maternità, aborto, nel sindacato, con la figlia, una valutazione a posteriori.

Mi chiamo Francesca M. sono nata nel 1950 e risiedo a Bologna. Nel 1970 mi iscrissi all'università e fui immediatamente trasportata da quel grande movimento di idee e di azioni in un vortice che all'inizio mi produsse un grande disordine mentale. Alle assemblee mi sentivo come una carta assorbente, inghiottivo parole su parole senza riuscire ad avere una benchè minima opinione personale. Fino a quando feci amicizia con alcune compagne del movimento studentesco che militavano nell'MLS. Cominciai a frequentare le riunioni dell'organizzazione e piano piano tutte qualle parole si misero in riga, una dopo l'altra, formando frasi che avevano un senso. Non ricordo esattamente la data in cui incominciai ad essere anch'io una militante, devo dire che il tempo era più scandito dal fare che non dalle ore e dai giorni. Presi a partecipare a tutto ciò che avveniva, nelle aule di facoltà, nelle strade, nelle fabbriche, nella sede dell'organizzazione, nei bar dove, fra un panino e una birra divisa in tre, le discussioni continuavano fino alla chiusura del locale. Mi pare nel 1975-76 ci siamo ritrovate, noi donne dei gruppi extraparlamentari, a chiacchierare di noi, come non avremmo mai immaginato. L'ordine era venuto dall'alto all'inizio, c'era stato detto che era importante il lavoro delle donne per smussare i conflitti fra i vari gruppuscoli, per entrare nei sindacati e nelle fabbriche. All'inizio infatti molte di noi erano lì per dovere politico, non per bisogno personale o perchè ci credevano. In via S. Vitale, al di là di un portone scuro e lungo un corridoio sempre senza luce e un po' maleodorante, si apriva una porticina e si entrava in una stanza con un tavolo, diverse sedie, un divano di cui non ricordo il colore. Ci incontravamo una volta alla settimana e come ho detto all'inizio, le cose non erano per nulla diverse da ciò che succedeva nelle altre sedi delle organizzazioni, solo che là parlavano i maschi; ma i toni erano uguali, anche gl'intercalari e spesso anche i contenuti. Con l'andare del tempo però, abbiamo cominciato a parlare dei nostri problemi e via via di tutti i temi che riguargdavano le donne: lavoratrici, studentesse, fidanzate, insomma di noi. Leggevamo anche moltissimo, riviste e libri che trattavano tutti questi argomenti e anche il sesso. Incominciavano ad uscire parecchi libri interessanti che stimolavano la discussione, che ci aiutavano ad uscire da certi stereotipi di ruolo, che ci spingevano a ritrovare, anzi meglio a conoscere ciò che di noi era stato sepolto dal tempo di Adamo ed Eva. Ognuna di noi portava la propria esperienza negli ambiti in cui lavorava, o faceva politica. È iniziata così, l'esperienza del femminismo, prendendo coscienza, piano piano, di qualcosa che ci distingueva dagli uomini, anche dai "compagni". Io sono cresciuta moltissimo attraverso quell'esperienza e ho cominciato a lavorare anche nel sindacato. Non so se ho dato qualcosa al movimento delle donne, se per qulcuna delle donne avvicinate ho potuto essere un punto di riferimento, un punto di partenza; ma sicuramente, io ho ricevuto tanto dalle donne, sia nel sindacato sia nella sfera privata: con quelle che sono diventate amiche, confidenti, compagne di percorso, sia per lunghi cammini, sia per brevi distanze.

Gli appuntamenti nella sede delle donne, diventavano sempre più importanti, ormai era un punto di riferimento non solo per coloro che militavano nel movimento; inoltre l'allargarsi del gruppo portava alla discussione nuove tematiche, che spesso andavano oltre la necessità di preparare assemblee, manifesti o articoli per i nostri giornali. Avevamo aperto una finestra su un "mondo" infinito, un "mondo" di luci e di ombre, in cui vedevamo muoversi non solo noi stesse, ma anche le nostre madri, le nonne e i fantasmi di coloro che avevano subito, vissuto e sofferto una condizione alla quale dicevamo basta. Presto capimmo che dovevamo uscire da quella stanzetta in fondo al corridoio, non solo per sfilare nelle piazze o andare nelle assemblee. Iniziammo a vederci nelle varie case, in situazioni meno stigmatizzanti, più intime e più nostre. In qualche modo, anche se non ancora apertamente, cominciavamo a volerci distinguere, non volevamo buttare via tutto del nostro vecchio mondo: stanzette pulite, piante agli angoli e fiori nei vasi, tazze di tè fumanti e profumate al miele...insomma qualcosa volevamo tenercelo. Poi ci accorgemmo che, l'essere in una casa e non in una sede politica, ci migliorava; il nostro modo di parlare diventava più confidenziale, ci mettevamo in gioco in prima persona. Sessualità, corpo, maternità, aborto. Questi i temi centrali, gli incroci della nuova strada che le donne volevano percorrere. Lo scontro con le istituzioni, i partiti di governo e la chiesa divenne fortissimo. Ormai eravamo una marea che non si poteva più fermare, la nostra forza non era negli slogan gridati in piazza, ma nella verità di ciò che affermavamo. La battaglia contro gli aborti clandestini, per la legge 194, penso sia stata una delle battaglie più significative, nel nostro Paese, una legge che va difesa anche oggi. Nonostante le statistiche ci dicano che le donne in Italia ricorrano sempre meno alla legge; non dobbiamo dimenticare le tante donne straniere che vivono nelle nostre città in condizioni di estrema precarietà e solitudine.

In sindacato il confronto partiva soprattutto dai diritti sul lavoro, ma anche dall'esigenza di dare riconoscimento alle donne del loro ruolo nella società: come madri che crescono e curano i figli, figlie che accudiscono i genitori anziani, soggetti che organizzano da ogni punto di vista la famiglia e che per tutto questo svolgono un ruolo sociale ed economico fondamentale; persone responsabili del proprio lavoro all'interno delle aziende e che crescono professionalmente. La situazione della donna lavoratrice era spesso minimizzata e sottovalutata anche dal sindacato e dagli stessi lavoratori maschi. Si andava alla mattina a distribuire i volantini davanti alle fabbriche, ma spesso venivamo insultate dagli stessi operai, le donne inizialmente ci passavano davanti a testa bassa. Il lavoro di sensibilizzazione fu abbastanza difficile, anche perchè eravamo studentesse e molto giovani e agli occhi di tante operaie, madri di famiglia, con tante preoccupazioni, apparivamo poco credibili. Ma i tempi erano già maturi, le donne sentivano che davamo voce a ciò che da sempre avevano custodito in silenzio. Molti consigli di fabbrica videro le lavoratrici protagoniste delle lotte sindacali per la parità nel lavoro e per i diritti civili. Ho imparato molto da loro: pazienza, sacrificio, umiltà, concretezza, tenacia, senso del dovere e volontà. Credo che l'impegno nel sindacato abbia contribiuto moltissimo a rafforzare in me il senso di giustizia e a riconoscre al lavoro un valore etico.

Con mia figlia ho sempre parlato poco, pochissimo di queste esperienze. A volte, ne coglievo l'occasione, ma subito mi sembrava di notare in lei un certo fastidio, come se volessi insegnarle qualcosa, o come se si sentisse costretta ad ascoltare per non dispiacermi. Quindi se c'è stata trasmissione dell'esperienza è avvenuta attraverso quello che oggi sono. Credo che le giovani, mia figlia sicuramente, diano per scontato ciò che noi abbiamo ottenuto con lunghe lotte e travagli interiori personali. Con questo non voglio dire che non sarebbero in grado di difendere ciò che vivono come diritto acquisito se venisse messo in discussione. Forse, come noi, troverebbero la forza di riempiere le piazze. Però gli spazi nella società civile e nella politica di confronto e di crescita per i giovani sono scarsi e deludenti. Anche nelle università mi sembra che non ci sia dibattito, i momenti d'incontro sono pochi, anche se le problematiche non mancano. Mi è capitato di sentire emergere, soprattutto tra le mie alunne, tematiche e desideri legati ad esse che credevo superate, come la possessività nei rapporti affettivi con il patner, il ritorno a ruoli femminili un po' subalterni, il timore di non essre abbastanza belle e seducenti, l'aspirazione all'imitazione di quei modelli proposti, sempre più spesso, sulla carta stampata e da una televisione meno qualificate. Il rispetto per se stesse qualche volta viene messo in discussione, come mi riferisce mia figlia, le ragazze, come i ragazzi dubitano delle proprie capacità nell'affrontare il futuro. Molti vivono un forte isolamento, nonostante riconoscano che i problemi sono comuni. Sono certa che i contenuti delle nostre lotte non sono andati persi, sono stati rielaborati in ognuna di noi attraverso percorsi personali e così trasmessi alle nostre figlie, nipoti, alle nostre allieve. Cosa ne sapranno fare di questa ricchezza? Sapranno difenderla ed accrescerla? Penso che tutto ciò che si fa con il cuore, con onestà e verità non vada disperso. È necessario però saper ascoltare, voler vedere allontanandoci dall'unica nostra prospettiva, con la voglia di non sostituirci alle nostre ragazze, ma di saperle sostenere accettandone la diversità. Ho mancato molte occasioni con mia figlia rispetto a questi "compiti", anche se ultimamente attraversando ostacoli difficili e con il suo aiuto sto cercando di impegnarmi maggiormente. È una battaglia che continua, quella di sapersi riconoscere come donne che hanno tanto in comune e tanto di diverso; cosa che non le separa, ma le completa..

Rileggendo questo passato, rivedo molti errori di intransigenza, molti estremismi, un po' di fanatismo e un forte bisogno di arrivare con immediatezza ad ottenero ciò che ci si era proposte. Riconosco diversi errori politici, ma soprattutto riconosco lo sbaglio di aver spesso rifiutato il compromesso, anche nel privato. Il compromesso inteso come incontro tra parti che non sono uguali, ma che vogliono costruire per sè qualcosa di migliore, anche dovendo rinunciare a qualcosa o di dover attendere tempi più lunghi per ottenere risultati migliori. Ma questa, è una riflessione che vale, a mio avviso, per tutti i movimenti e i partiti politici, non solo per le organizzazioni femminili e femministe di quegli anni. Il bilancio è ugualmente positivo, ciò che ho vissuto ha segnato ed influenzato tutto ciò che ho fatto, il mio modo di pensare, il mio vivere, anche la mia trasformazione, viene da quell'asperienza travolgente. Sicuramente tutte le volte che mi guardo indietro, scopro di essere molto cambiata, ma non di essere peggiorata. Anche questo ho imparato da quegli anni, a non vergognarmi di quello che sono e a perdonarmi quando sbaglio.

 

Pour citer cette ressource :

Francesca M., Mi racconto, La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), novembre 2007. Consulté le 26/12/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/xxe-xxie/le-mouvement-des-femmes/mi-racconto