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Entretien avec Piera Vitale

Par Maurizia Morini : Lectrice d'italien MAE et historienne - ENS de Lyon
Publié par Damien Prévost le 13/11/2007

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Piera Vitale è nata nel 1950 a Caserta, si è trasferita a Reggio Emilia alla fine del 1968. Operaia, è stata iscritta al PCI e poi a Rifondazione comunista e al sindacato CGIL. Per il PCI, responsabile della Commissione femminile a Caserta.

Il lavoro in fabbrica, il femminismo, la lotta per il posto di lavoro, al sud con un impegno politico fra le donne, il movimento oggi.

- Proviamo a ricordare gli anni Settanta e come è avvenuto il tuo avvicinamento al femminismo e alle donne?

Negli anni Settanta ero una lavoratrice che si occupava di sindacato e non c'era riferimento al genere pur lavorando in una fabbrica a quasi totalità femminile, il mio era un atteggiamento asessuato e l'impegno era nel movimento sindacale e nel PCI, l'obiettivo era il miglioramento della società. Dicevamo così noi lavoratori.

Come donne eravamo attente all'aspetto delle leggi di tutela, cioè no al lavoro di notte, sì per i servizi sociali e per la tutela della maternità. Nel partito c'era la commissione femminile, dell'UDI conoscevo l'esistenza, sapevo di donne in Parlamento. Per i servizi sociali chiedevamo un contributo agli imprenditori e ci fu lotta e c'era aggancio fra lotte in fabbrica , le amministratrici locali e le donne elette in Parlamento.

A Reggio Emilia abbiamo incontrato le femministe alla fine degli anni Settanta, quando ci fu crisi nella nostra fabbrica, noi facevamo la lotta tradizionale, entrarono in fabbrica donne dell'UDI per un'assemblea e ci chiesero di differenziare la lotta, cioè di porre l'accento sul fatto che sarebbe stata una perdita di segno, c'era una storia di vite di donne specifiche che si sarebbe persa.

Nello stesso periodo era in crisi anche la Leyland Innocenti a stragrande forza lavoro maschile e il governo avrebbe sostenuto quella, e così è stato e la nostra lotta non fu sostenuta dal governo.

E le donne dell'UDI tentarono di farci prendere coscienza su questo. Nello stesso periodo di fabbrica occupata entrarono le donne femministe del MLD e le abbiamo quasi cacciate perché ci parlavano di salario alle casalinghe e noi lottavamo per il posto di lavoro ma con questo incontro conoscemmo nuovi problemi.

Io però conoscevo altri gruppi ma lo scontro era stato politico perché noi eravamo viste troppo nella linea sindacale.

Ricordo l'8 marzo 1977, entrano in fabbrica le studentesse con cartelli con forti slogan come l'utero è mio e lo gestisco io, e abbiamo chiesto di lasciare i cartelli fuori.

Io allora ero concentrata sulla lotta di fabbrica non volevo tornare a casa anche per la tradizione e la storia di operaie che quella azienda aveva, ma poi su quei nuovi temi, il corpo la sessualità, mi sono interrogata. Io avevo chiaro che l'indipendenza economica era la base della mia autonomia e questo era successo per generazioni di donne.

La fabbrica è stata poi ridimensionata e molte operaie vengono, attraverso la mobilità collocate in diversi settori e per la prima volta in una fabbrica metalmeccanica riuscendo poi a modificare in parte con la loro presenza e le loro richieste l'organizzazione del lavoro, con benefici per tutti. Aggiungo che nel sindacato si erano creati i coordinamenti delle donne, e partecipai a riunioni ma la teoria dell'autodeterminazione e della separatezza non mi affascinò, e temi come sessualità, aborto, consultori non erano al centro del mio impegno.

Ripensando oggi a quel periodo, l'unica cosa negativa che ravviso è quella di non esserci accorte del nostro essere specifico e quindi di esserci in un qualche modo identificate con un movimento asessuato, un forte movimento di lotta ma che non faceva emergere anche questa doppia forza. Essere all'avanguardia ed essere una fabbrica di donne in una società come la nostra maschilista è proprio una grande cosa e non ce ne rendevamo conto, perché per noi l'organizzazione era unica, quella dei lavoratori e si diceva sempre lavoratori, l'organizzazione dei lavoratori, sebbene noi fossimo protagoniste a tutti gli effetti, sindacalizzate, politicizzate, si interveniva nel dibattito politico e sindacale a livello provinciale e nazionale; si lottava anche per i servizi sociali. Questo specifico non lo abbiamo colto tutto in quella fase però si coglie oggi, io oggi i frutti li raccolgo, nel senso che se oggi ragiono così, ragiono anche perché ho fatto quell' esperienza, con le donne.

Nel 1980, conclusa negativamente la lotta per salvare la fabbrica, fui mandata dal PCI in Basilicata in aiuto delle compagne dopo il terremoto in Irpinia; era una solidarietà fra donne.

- Quindi il tuo lavoro si sposta al sud...

In effetti otto mesi dopo, Bassolino, segretario regionale del PCI campano mi chiese di diventare responsabile femminile di Caserta come operaia e per incontrare migliaia di occupate. Era per me un'anomalia questa di vedere tante donne in fabbrica; lì non c'era il sostegno dei servizi sociali come al Nord e quindi significava una maggiore fatica per le donne.

- Che differenza puoi sottolineare fra la realtà del nord e quella del sud?

Al sud mancavano luoghi per incontrarsi e per parlare delle comuni esigenze, inoltre non vi erano donne nelle istituzioni, un'assenza generalizzata di servizi sociali (i pochi esistenti erano nei Comuni gestiti dalla sinistra) e difficoltà per l'applicazione della legge 194 sull'interruzione volontaria della gravidanza a causa dell'alto numero di medici obiettori di coscienza, e niente consultori. Vi era una esigenza di linea emancipatoria che al nord era già in via di superamento ma le più giovani erano naturalmente protese verso i temi della liberazione che non sapevano tuttavia dove esprimere.

Il mio impegno era ancora di taglio emancipatorio ma già ne vedevo i limiti poiché la politica delegava a noi donne, non si faceva attraversare, faccio un esempio per una iniziativa relativa all'8 marzo con Dacia Maraini, la costruimmo con fatica anche ripulendo un teatro in disuso, tutto era sulle nostre spalle.

Poi tornai a Reggio Emilia perché le condizioni della militanza erano durissime, senza sicurezza di stipendio, senza casa, senza auto e aspettavo ore gli autobus per andare a fare riunioni di donne.

- Cosa pensi della trasformazione del femminismo nei successivi anni Ottanta?

Rientrando a Reggio riprendo un lavoro produttivo in un supermercato Coop e il mio impegno politico rimaneva, come iscritta alla CGIL; e pur non essendo direttamente impegnata nel movimento delle donne ho sofferto lo scioglimento dell'UDI, non ne conoscevo i motivi e solo di recente ho saputo di un conflitto all'interno sui temi del corpo e della sessualità, e un conseguente avvicinamento delle donne dell'UDI ai temi del femminismo mentre rimaneva una parte legata alle rappresentanze istituzionali. Poi leggendo testi e articoli mi sono resa conto che il movimento non era scomparsa, esistevano piccoli gruppi che approfondivano su temi specifici come per esempio donne giuriste, donne filosofe, donne in carriera. Concordo con chi definisce il movimento, carsico. Sono anche nati Centri di documentazione donne, associazioni.

Tuttavia è venuta meno una forza e una visibilità necessaria a incidere nella società e anche nella rappresentanza politica , a mio parere c'è stato un arretramento culturale e politico.

Credo che la società sia stata fondamentalmente impermeabile a vere trasformazione di cui eravamo portatrici, mi riferisco ai meccanismi politici, rimasti in fondo gli stessi cioè maschili, noi proponevamo tempi, pratiche e relazioni differenti. E ci sono anche leggi restrittive sui diritti nel lavoro ( orari lunghi e troppo flessibili), involuzione nella pratica dei consultori (assenza delle donne nella gestione); presenza troppo insistente delle gerarchie ecclesiastiche e della destra rispetto alla procreazione assistita, all'applicazione della legge sull'interruzione volontaria della gravidanza, e oggi sul riconoscimento delle coppie di fatto. E assisto alla riduzione a oggetto del corpo delle donne in pubblicità e negli spettacoli televisivi e ad un aumento drammatico di casi di violenza sulle donne. Inoltre sempre sull'oggi dico che la nuova legge elettorale ha di fatto diminuito la presenza delle donne in Parlamento e nelle istituzioni.

- Oggi sei ancora impegnata con altre donne...

Sì perché credo sia ancora necessario riunirsi fra donne, perché il tema della differenza venga rilanciato sia fra la nostra generazione che fra le ragazze. Partendo dall'idea, che la differenza di genere è una ricchezza da usare, mentre ha prevalso l'omologazione come la presenza femminile nell'esercito, la carriera lavorativa che mutua modelli maschili e a volte credo che le ragazze abbiano inteso il concetto di parità come offuscamento della specificità e adeguamento sul modello maschile. Anche i diritti conquistati da noi negli anni Settanta che hanno segnato la nostra presenza nella società sono stati ritenuti immodificabili ma non è così, perché gli attacchi di cui dicevo sono forti.

Da un anno abbiamo costituto un'associazione Donneinsieme, qui a Reggio Emilia, per ribadire l'originalità dell'identità politica e sociale delle donne e per favorire il dialogo intergenerazionale.

 

Pour citer cette ressource :

Maurizia Morini, Entretien avec Piera Vitale, La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), novembre 2007. Consulté le 21/11/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/xxe-xxie/le-mouvement-des-femmes/entretien-avec-piera-vitale