L'Unione donne italiane
L'UDI, organizzazione femminile di massa, si incontra / scontra con il femminismo italiano negli anni Settanta ma la sua storia viene da lontano.
A Roma nel 1944 si costituisce il Comitato d'iniziativa dell'Unione donne italiane, un progetto unitario che intendeva essere polo di attrazione per la politica; tuttavia quest'ipotesi comune dura poco in quanto le donne cattoliche escono dall'associazione fondandone una propria : il Centro italiano femminile - CIF.
Nell'UDI entreranno nell'anno successivo i Gruppi di difesa della donna, movimento della Resistenza, voluto dal Partito comunista e di conseguenza i riferimenti etici e politici delle associate rimarranno legati all'esperienza resistenziale.
Organizzazione di massa e diffusa in tutta Italia, considerava la causa della subordinazione della donna nella società e non nel rapporto fra i sessi e si batteva essenzialmente per l'emancipazione e la parità; una possibile soluzione dei problemi delle donne era demandata ad una fase successiva quando si sarebbe raggiunta una società socialista - comunista.
Questo programma evidenziava inoltre una caratterizzazione politica ben precisa: la stessa UDI si definì come un'organizzazione di donne di sinistra ed in seguito di donne per la sinistra; tuttavia il rapporto con il maggior partito della sinistra, il PCI, non è stato sempre facile. Le testimonianze di due protagoniste del tempo ci illuminano al proposito:
nei primi anni cinquanta, l'UDI non era un'organizzazione autonoma dal PCI, era diretta da comuniste, addirittura prendevamo le direttive dal partito ed è inutile che stiamo qui a menarla tanto, anche se poi era un dare e avere.((Laura Polizzi in Volevamo cambiare il mondo Memorie e storie delle donne dell' UDI in Emilia Romagna, a cura di C. Liotti, R. Pesenti, A. Remaggi, D. Tromboni, Carrocci, Roma, 2002 pag. 24))
Ogni novità costava uno scontro... fin da quando si trattò di imporre la parola "donna emancipata" che al Partito sembrava sinonimo di "donna dai facili costumi", fin dalla richiesta della parità salariale che al Partito sembrava un azzardo che avrebbe procurato la cacciata delle donne dai posti di lavoro.((Luciana Viviani in "Una questione di libertà" Il femminismo degli anni Settanta, di A. Ribero, Rosenberg & Sellier, Torino 1999: 53.))
Va comunque ricordato che le vicende dell'organizzazione si rispecchiano nella più complessiva storia politico / sociale dell'Italia, dai temi emancipatori collegati a quelli più generali del lavoro, della democrazia e della pace.
Finita l'emergenza del dopoguerra gli obiettivi dell'UDI si concentrano, fino agli anni Sessanta, sul terreno della parità, nello studio, nel lavoro per la retribuzione e per l'apertura alle donne in settori professionali "nuovi". Perché la discriminazione possa essere superata si chiedono riforme strutturali nei servizi sociali, per esempio asili nido e per l'infanzia, nell'ottica di potere conciliare il ruolo di lavoratrice e di madre.((Ricordiamo che l'art. 37 della Costituzione italiana prevede la parità di trattamento economico fra uomo e donna a parità di prestazione lavorativa e la norma che stabilisce diritti per la lavoratrice madre nell'assenza per maternità e il divieto di licenziamento entro il primo anno di vita del figlio è la n° 860 del 1950. La legge che istituisce i servizi per l'infanzia è del 1964 ma verrà attuata, per mancanza di stanziamenti, solo otto anni dopo.))
Ed è poi a partire dagli anni Sessanta che le donne dell'organizzazione cercano una loro autonomia rispetto ai partiti della sinistra; sono soprattutto le donne socialiste le più attente al tema dei diritti civili e del divorzio, della contraccezione e dell'aborto. Tuttavia, questa componente, essendo nell'UDI minoritaria, cercava nelle mobilitazioni per i diritti civili alleanze con altre forze laiche.
Nel suo insieme l'UDI attua una prima timida svolta nel Congresso del 1964, quando alcune partecipanti iniziano a parlare di educazione sessuale, controllo delle nascite, argomenti cioè che riguardano più la sfera privata che quella sociale - collettiva. È comunque un cambiamento, se solo un anno prima, alla Conferenza nazionale, termini come maschilismo e diversità femminile "diedero occasione qua e là a singoli interventi, ma nel complesso furono percepiti come sollecitazioni culturali, non certamente come elementi fondanti per una diversa ottica di linea e di strategia dell'emancipazione".((M. Repetto (responsabile nazionale dell'UDI), Le donne nella vita politica del secondo dopoguerra, dispensa, Pontignano 1995: 16))
Sempre in riferimento ai temi affrontati nel Congresso del '64 possiamo riscontrare un limite teorico di fondo, nel confronto fra le partecipanti, nel non voler vedere e considerare la società "maschile" quale causa precipua dell'oppressione femminile, vengono esposte intuizioni ma non linee politiche organiche. Questa visione tradizionale la si ritrova nella maggioranza delle donne presenti nella discussione sul divorzio, sul quale si apre solo un dibattito ma non ancora una precisa richiesta.
Quattro anni dopo - ed è il '68 - nel Congresso successivo entrano parole chiave nuove: lottare per contare, le vertenze delle donne, necessità del movimento ma nel suo insieme l'UDI ha vissuto il femminismo con estraneità e con ritardo ne ha colto la carica dirompente poiché la linea di fondo continuava a concepire la lotta emancipatoria coma la sola in grado di risolvere i problemi delle donne.
Si tratta di un limite culturale e politico che verrà in parte colmato nel '73 quando si incrociano per la prima volta i temi dell'emancipazione con quelli della liberazione, si intreccia il privato e il pubblico parlando di famiglia, sessualità, lavoro. Un confronto sostenuto e vivacizzato anche dalla presenza al Congresso di molti gruppi femministi.
Il PCI appare "preoccupato" dalle nuove posizioni poiché l'orientamento dell'UDI ora "assumeva, come temi di natura politica, anche ciò che riguardava la sessualità, la divisione dei ruoli, la dimensione maschilista della società".((A. Ribero, op. cit.: 62))
Cautele e paure che in un certo senso furono travolte dagli eventi salienti del periodo, poiché sia le donne dell'UDI che le iscritte al partito comunista e socialista si opposero alla moderazione della sinistra storica, e il movimento rappresentato dal Partito radicale, socialista, e femminista superò la linea della moderazione. Di conseguenza anche il partito comunista sostenne il referendum sul divorzio del '74, la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza e il successivo referendum del 1981. In sintesi, ciò che finalmente prevale è il concetto dell'autodeterminazione della donna.
Anche per l'UDI inizia una nuova fase, vale a dire discussione e pratica di coscienza, autocoscienza; modifica di se stesse per cambiare vita e società; rottura con la tradizione nel modello organizzativo della struttura che significa completo distacco dai partiti della sinistra e dai loro finanziamenti; limiti alle funzioni del gruppo dirigente; critiche ad un modello di funzionamento sul tipo del centralismo democratico.
Il Congresso del 1982 sancisce la definitiva trasformazione e le udine cercano, come parte delle donne hanno praticato, altre strade culturali nelle librerie femminili, nei gruppi di ricerca, nei centri. La Carta degli intenti delinea il nuovo percorso di questo rinnovamento e il suo confluire nel movimento più generale quando sostiene che: "identità, autodeterminazione, separatismo, comunicazione fondano il nostro potere che significa poter essere, realizzare i nostri bisogni, desideri, progetti in uno spazio e in un tempo costruito da noi e per noi."
(Sull'esperienza nell'UDI si vedano le testimonianze di Lena Costoli, Paola Nava, Piera Vitale e Massimilla Rinaldi)
Pour citer cette ressource :
Maurizia Morini, "L'Unione donne italiane", La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), novembre 2007. Consulté le 04/11/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/xxe-xxie/le-mouvement-des-femmes/l-unione-donne-italiane