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Giovanni Moro, «Anni Settanta»

Par Maurizia Morini : Lectrice d'italien MAE et historienne - ENS de Lyon
Publié par Damien Prévost le 12/01/2010

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Moro precisa di non essere uno storico, tanto meno degli anni settanta nei quali ha avuto una parte, un po' per scelta e un po' perchè ci si è trovato, che non lo mette nella condizione di distacco propria del lavoro storiografico (il riferimento è con la pacatezza che contraddistingue l'autore, al rapimento e all'uccisione, nel 1978 da parte delle Brigate Rosse, del padre Aldo Moro, leader della Democrazia Cristiana).

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Giovanni Moro è nato a Roma nel 1958, è sociologo politico e insegna alla Facoltà di Scienze della formazione dell'Università di Roma 3. E' stato segretario generale del movimento Cittadinanzattiva e fondatore di Fondaca.

Ha pubblicato: Manuale di cittadinanza attiva, 1998; PlusValori. La responsabilità sociale d'impresa, 2003; Azione civica, 2005.

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E' stato il decennio della partecipazione civile e delle riforme, ma anche quello delle vittime e dei carnefici. Oltre il silenzio e la nostalgia, l'esito di quegli anni è alla radice di un male italiano: la nostra condizione di democrazia in condominio tra partiti senza fiducia e cittadini senza rilevanza.

La sintesi di copertina ci porta al cuore di questo interessante libro di Giovanni Moro che produce una riflessione personale e complessiva sugli anni settanta, come un testimone che esercita il diritto di parola.

Moro precisa di non essere uno storico, tanto meno degli anni settanta nei quali ha avuto una parte, un po' per scelta e un po' perchè ci si è trovato, che non lo mette nella condizione di distacco propria del lavoro storiografico (il riferimento è con la pacatezza che contraddistingue l'autore, al rapimento e all'uccisione, nel 1978 da parte delle Brigate Rosse, del padre Aldo Moro, leader della Democrazia Cristiana).

Cerco di tenermi a debita distanza da quel periodo, nel quale la mia vita è finita nell'occhio del ciclone e per il quale non sento alcun trasporto.

Tuttavia, anche per me non è facile liberarmi di quell'epoca e, per quanto mi sforzi di ignorarla, finisco per ritrovarmela davanti come una pietra d'inciampo o come una voce dimenticata che reclama ascolto e attenzione... anche per me vale ciò che si può dire a proposito dell'intero Paese: che non ci si può liberare degli anni Settanta senza imparare a ricordarli. ( pagg. 4 e 5 )

E Giovanni Moro ha scritto un libro importante, fornendo una lezione di metodo storiografico con senso di equilibrio e intelligenza critica nell'uso della pratica del "distinguere" le varie dimensioni in cui si manifestano molti eventi di quel periodo.

A partire dal modo con cui è stata fatta memoria del decennio e del caso Moro, in particolare attraverso le cosiddette "patologie del ricordo": silenzio - vergogna - nostalgia; per cui l'Italia, a trenta anni di distanza, arranca priva di una memoria comune e soprattutto di una verità storica definitiva e condivisa.

Il silenzio è forse l'atteggiamento più comune sugli anni settanta, una specie di buco nero della storia e stranamente il silenzio non è praticato da coloro che più di tutti dovrebbero stare zitti, ovvero un considerevole numero di ex terroristi e protagonisti della violenza politica diffusa.

Circa la vergogna, essa appare del tutto ingiustificata di fronte a riforme varate, storture superate, diritti sociali e civili resi praticabili...Davvero, afferma Moro, non si capisce di che cosa ci si dovrebbe vergognare.

Quanto alla nostalgia, si riferisce soprattutto ai forti legami sociali ma basterebbe ricordare l'immobilismo del sistema politico, le deviazioni degli apparati statali, la violenza politica, i tentativi di "aggiustare" la vita democratica (e sono solo alcune citazioni) per convenire che essa è del tutto fuori luogo.

Di seguito, l'autore, procedendo nella sua lucida analisi, colloca le sopravvivenze regressive, vale a dire elementi e argomenti al centro della vicenda degli anni settanta, che sono riproposti come se non fossero passati trenta anni e ne sceglie tre:

  • gli orfani della guerra fredda,
  • il rapporto fra storia palese e storia occulta (oggi si discute come se fosse allora),
  • lo scontro fra politica e antipolitica.

Il termine antipolitica viene stigmatizzato come incapacità di pensare al rapporto tra politica e cittadini se non in termini di perdita di uno stato di grazia originario mentre Moro vuole sottolineare alcuni aspetti per niente secondari come la nascita di nuove forme di cittadinanza, di soggettività politiche autonome e originali, la rilevanza della dimensione sociale rispetto al mero individualismo. Negli anni settanta emergono voci che reclamano il riconoscimento di un diritto, il sostegno a interessi generali rispetto a quelli privati ed esigenze di partecipazione nel rapporto con la Pubblica Amministrazione. Si tratta di una "cittadinanza attiva" che è anche il nome del Movimento Federativo Democratico fondato dallo stesso Giovanni Moro nel 1978.

Ragionando ulteriormente, l'autore individua nel dibattito su quegli anni i fautori della dietrologia e quelli del revisionismo; per i primi tutto è complotto e trama occulta, per gli altri tutto è palese e niente è da aggiungere ai ricordi dei protagonisti.

Nella conclusione, che non è una fine, Giovanni Moro afferma che

occorre passare dai ricordi alla memoria, o meglio utilizzare i ricordi per farci una ragione attuale di un periodo che non è stato né una cattiva imitazione del passato, né una mera parentesi, ma piuttosto il perno di un passaggio d'epoca... Passare dai ricordi alla memoria non è l'intento del libro. Esso è piuttosto un tentativo di allargare l'orizzonte... il compito mi sembra soprattutto quello di costruire una memoria comune, attualizzando il passato e facendo sì che esso "reagisca" diventando parte riconosciuta della nostra identità attuale... (pagg. 148 e 149)

Un capitolo del libro è dedicato al rapimento di Aldo Moro e Giovanni, pur con i distinguo e le difficoltà nell'affrontare un evento in cui è coinvolto, pensa che ancora molte menzogne debbano essere svelate e molte responsabilità assunte.

Concludiamo riportando le parole dello stesso autore sull'argomento sottolineando l'importanza della lettura del testo sia per l'ampiezza di vedute con cui affronta nodi scottanti del decennio sia per l'uso di termini significativi e di parole-chiave nell' interpretare con originalità i fatti storici.

Come tutti sanno, i fantasmi sono morti che non riposano in pace e che non lasciano in pace nemmeno i vivi, perchè continuano a manifestarsi chiedendo loro di onorare un debito o di liberarli dalla maledizione che consiste proprio nel dover ritornare. Penso che la nostra vita pubblica sia attraversata da molti fantasmi degli anni Settanta; qualcosa che certo non contribuisce a costruire una memoria di quell'epoca, ma anzi tende ad aggravare le patologie del ricordo...

Il più ovvio e ingombrante di questi fantasmi è quello di Aldo Moro, la cui presenza nella vita pubblica è una costante da allora. (pag. 81)

 

Pour citer cette ressource :

Maurizia Morini, "Giovanni Moro, «Anni Settanta»", La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), janvier 2010. Consulté le 28/03/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/bibliotheque/giovanni-moro-anni-settanta