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Leopardi e la letteratura cosmica degli anni Sessanta: l’esempio di Calvino e Landolfi

Par Rosanna Maggiore : Enseignante d'italien et docteure - Université de Bourgogne
Publié par Alison Carton-Kozak le 24/09/2015

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Dans cet article, Rosanna Maggiore s’interroge sur le rapport entre Italo Calvino et Tommaso Landolfi au fil des années 1960, à la lumière de leur intérêt pour une littérature aux perspectives cosmiques et de leur prédilection pour l’œuvre de Giacomo Leopardi.
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Nei primi anni Sessanta Italo Calvino scrive le Cosmicomiche[1], Tommaso Landolfi un ciclo di racconti intitolato Galasseide[2]. Tra i loro modelli, è possibile individuare il prosatore delle Operette morali: Giacomo Leopardi. Alla luce di questi dati, ci si può interrogare sull’esistenza di una “letteratura cosmica”[3] e sul ruolo giocato da Leopardi negli anni Sessanta, ma anche sul “dialogo” tra Calvino e Landolfi. Ci si può chiedere, cioè, se i due scrittori si influenzino a vicenda nel riprendere la lezione di Leopardi, o se il loro interesse vada interpretato alla luce di un ben più vasto fenomeno di riscoperta delle opere leopardiane. È quanto faremo in questo breve articolo, tenendo presente che la prima ipotesi non esclude la seconda.

Cominciamo col constatare che, nella nota di accompagnamento alle prime quattro cosmicomiche, uscite sul “Caffè” nel 1964, Calvino afferma che i suoi racconti non appartengono al genere della fantascienza e che

hanno dietro di sé soprattutto Leopardi, i comics di Popeye (Braccio di Ferro), Samuel Beckett, Giordano Bruno, Lewis Carroll, la pittura di Matta e in certi casi Landolfi, Immanuel Kant, Borges, le incisioni di Grandville[4]

Nell’ambito della letteratura italiana, emergono i nomi di Bruno, Leopardi e Landolfi. Diverse ragioni possono aver spinto Calvino a inserire quest’ultimo tra i modelli delle Cosmicomiche: la dimensione cosmica e insieme comica di alcuni racconti landolfiani degli anni Trenta e Quaranta, l’intreccio di immaginazione, satira e filosofia, la critica anti-antropocentrica, la capacità di inventare nuovi linguaggi e nuove realtà, l’ostinazione a mostrare il segreto rovescio delle cose e a mantenere aperta ogni soluzione.

Facendo un piccolo passo indietro, ci si può chiedere se Calvino fosse in contatto con Landolfi negli anni Cinquanta. I riferimenti espliciti dello scrittore ligure sono solo due: il primo risale al 1957, a una lettera indirizzata a Lev A. Veršinin, in cui Calvino definisce Landolfi “il miglior ‘surrealista’ italiano”[5]; il secondo al saggio Tre correnti del romanzo italiano d’oggi, del 1958, in cui Calvino contrappone alla letteratura elegiaca e dialettale quella della “trasfigurazione fantastica” citando Palazzeschi, Landolfi, Buzzati e la Morante[6]. Alcune lettere inedite conservate all’Archivio Einaudi mostrano però che negli anni Cinquanta Calvino era in contatto con Landolfi per conto della casa editrice torinese.

La prima lettera inviata a Landolfi da Giulio Einaudi risale al 1953, il primo incontro con Calvino al 1957. Nel 1959 viene chiesto a Landolfi di raccogliere i suoi racconti in un volume dei “Supercoralli”, di curare un’edizione di ‘biline’ russe (canti epici popolari), di tradurre i Poemi e liriche di Puškin. Landolfi accetta quest’ultima proposta, impegnandosi a scrivere una Prefazione che si rivela anche una dichiarazione di poetica. Landolfi parla di sé, del bisogno di sottoporre tutto a verifica, di fondare un’arte del possibile, creando addirittura oggetti fisici e materiali attraverso la poesia. Come ha mostrato Cristina Terrile[7],lo scrittore si fa portavoce di una concezione estesa del reale, in grado di inglobare tutto quello che il senso comune e la ragione escludono[8]. Calvino conosce la prefazione al Puškin e in una lettera datata 4 agosto 1959 scrive a Landolfi: “la Sua professione di poetica – della poesia come creazione di oggetti materiali – mi entusiasma[9]”.

Questi dati ci aiutano a ricostruire il dialogo tra i due autori[10]. Quel che però ci interessa sottolineare è che negli anni Sessanta, nello stesso periodo in cui Calvino concepisce le prime cosmicomiche, Landolfi scrive diversi dialoghi e false conferenze di sapore leopardiano, in parte simili a quelli pubblicati negli anni Trenta e Quaranta, ma in versione fantascientifica (per ambientazione e scelta dei personaggi)[11]. Ritroviamo la riflessione sulla vita e sulla morte, la parodia dei linguaggi ufficiali, la critica anti-antropocentrica, il motivo della finis historiae e dell’estinzione della razza umana.

In questa sede non analizzeremo i racconti cosmicomici di Calvino e quelli “fanta-satirici” di Landolfi: le differenze sono notevoli e richiederebbero altri spazi. Possiamo però rilevare la comune predilezione per la forma breve (il mito cosmogonico, l’apologo, nel caso di Calvino; il dialogo, il falso trattato, la falsa conferenza, nel caso di Landolfi)[12]; l’attenzione rivolta al binomio che unisce “invenzione” e “pensiero”[13]; la scelta di un registro comico, ironico, satirico, parodico; l’uso di un linguaggio che mima l’oralità e sollecita continuamente gli interlocutori; l’adozione di prospettive cosmiche e la riduzione del cosmico al comico; la critica nei confronti dell’idolo antropocentrico; il tentativo di immaginare un mondo al di là dell’uomo (preistorico, come in molti racconti di Calvino; o postumo, come in molti testi di Landolfi) con il preciso intento di mettere in crisi abitudini percettive e categorie di pensiero.

Calvino e Landolfi sono inoltre due scrittori “lunari”, ma inclini a descrivere la luna nei suoi particolari più prosastici e nei suoi aspetti più repellenti. Per questa ragione, diversi critici hanno ricondotto le due cosmicomiche La molle Luna e Le figlie della Luna[14] non solo al frammento poetico Odi, Melisso (sorta di archetipo per molti testi di argomento lunare del Novecento)[15], ma anche al Racconto del lupo mannaro di Landolfi[16]. “Il disgusto per la molle luna”, scrive Francesca Serra, “richiama alla lettera Il racconto del lupo mannaro” che apre il volume Le più belle pagine di Tommaso Landolfi scelte da Italo Calvino[17]. In questo breve testo del 1939, la luna viene acchiappata da un licantropo ed è un “grosso oggetto rotondo simile a una vescica di strutto”, ha un “molle corpo”, un “corpo molliccio”, è “viscida”, “grassa”, “schifosa”[18]. È paragonata a una “medusa”, emette strani suoni, suscita “schifo” e “disgusto”. Il protagonista vorrebbe ammazzarla, ma non riesce: “contro la luna non c’è niente da fare"[19]. Le storie messe in scena nella Molle Luna e nelle Figlie della Luna non sono simili a quella narrata da Landolfi. La luna è però, anche lì, molle, viscida, mucillaginosa, “fa senso”, provoca “disgusto”.

Alla luce di questi dati, ci si può chiedere in che misura Landolfi sia presente nelle Cosmicomiche di Calvino. Ma ci si può chiedere anche, come ha fatto Gabriele Pedullà, se Landolfi guardi a Calvino quando decide di riprendere il dialogo e il trattato di stampo leopardiano. Pedullà scrive:

Sembrerebbe così, all’inizio degli anni Sessanta, che la grande stagione del leopardismo di Landolfi sia ormai giunta al termine, il sodalizio concluso. Poi, di colpo, succede qualcosa. Nel marzo del 1966 l’editore Vallecchi dà alle stampe […] i Racconti impossibili. Non soltanto a quasi un quarto di secolo dagli ultimi esperimenti in questa direzione, ricompaiono a sorpresa i finti trattati (S.P.Q.R. e Fulgide mete) nella variante ormai prediletta della finta conferenza, ma adesso, per la prima volta, fioriscono in abbondanza anche i dialoghi di tono leopardiano (Quattro chiacchiere in famiglia, Un concetto astruso, Alla stazione). […]

A quale evento imputare questo massiccio e improvviso ritorno all’operettismo di gioventù? […] rispetto ai consueti repêchages di Landolfi può essere stata determinante un’influenza esterna. Nel 1965 infatti Calvino aveva raccolto in volume, e con grande successo, le Cosmicomiche, la cui pubblicazione su giornali e riviste risaliva all’anno precedente.

Le cose non sono tuttavia così semplici: perché Landolfi è uno dei modelli di Calvino, ma anche perché

Tutti i principali tratti che accomunano il ciclo di “Galasseide” alle Cosmicomiche (estraneità, quotidianità, mimesi dell’oralità) si trovano già compiutamente anticipati nel dialogo di Landolfi: il che, al limite, permetterebbe anche di escludere ogni influenza di Calvino sui Racconti impossibili. Più verosimilmente S.P.Q.R. e Quattro chiacchiere in famiglia sono nati invece come tentativo di Landolfi di accodarsi al grande successo dello scrittore più giovane riappropriandosi di quanto era stato suo e appianando così il grande debito che le Cosmicomiche avevano con lui. Se la ricostruzione è giusta, siamo in presenza di un fenomeno piuttosto singolare o inedito: quello che si potrebbe definire a tutti gli effetti un “operettismo mediato”.[20]

Non è facile, in effetti, capire se Calvino abbia potuto influenzare Landolfi, perché i testi di quest’ultimo sono riconducibili a quelli scritti negli anni Trenta e Quaranta[21]. Inoltre, non sempre disponiamo di dati certi in merito alle date di pubblicazione dei racconti, usciti spesso in rivista e poi in volume[22]. Riprendiamo in considerazione La molle Luna, uno dei testi che deve qualcosa a Landolfi per la resa prosastica dell’astro. Da quanto emerge dalla cronologia e dagli indici contenuti in Tutte le cosmicomiche[23], il racconto vedrebbe la luce direttamente in Ti con zero (1967), cioè dopo l’uscita dei Racconti impossibili (1966). In realtà, appare sulla “Fiera letteraria” del 27 gennaio 1966, accompagnato da un disegno di Bruno Caruso raffigurante una luna butterata, un uomo in primo piano e un telescopio alle sue spalle.

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“La Fiera letteraria”, 27 gennaio 1966, p. 16

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Bruno Caruso, disegno per La molle Luna, “La Fiera letteraria”, 27 gennaio 1966, p. 17

Il testo del 1966 non è identico a quello raccolto in Ti con zero nel 1967. Di un certo interesse sono le varianti, di cui mi sono occupata in altra sede. Qui ci interessa sottolineare che, circa due settimane dopo l’uscita della Molle Luna, sulla “Fiera letteraria” viene pubblicato un racconto inedito di Landolfi: Galasseide. SPQR. Questo testo farà parte del ciclo “From outside” e richiama Leopardi per il motivo dell’imbarbarimento degli uomini e della Terra osservata da lontano, per il conseguente distacco spazio-temporale, per lo straniamento e per la critica anti-antropocentrica. In seguito al ritrovamento di una pietra che reca scritto S.P.Q.R., si discute di un’ipotetica, e a quanto pare improbabile, lingua terrestre[24].

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“La Fiera letteraria”, 10 febbraio 1966, p. 16.

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Anonimo, disegno per S.P.Q.R., “La Fiera letteraria”, 10 febbraio 1966

Ora questo esempio non vuole essere la prova di un richiamo di Landolfi a Calvino[25], ma una conferma di quanto sia difficile stabilire sicuri rapporti di filiazione in un periodo come quello degli anni Sessanta, in cui diversi scrittori pubblicano i propri racconti prima in rivista e poi in volume. Calvino e Landolfi non sono infatti gli unici. Restando agli autori del fantastico italiano, nei primi anni Sessanta anche Primo Levi e Dino Buzzati pubblicano su diverse testate (“Il Mondo”, “Il Giorno”, il “Corriere della Sera"[26]) i racconti che nel 1966 confluiranno nelle Storie naturali e nel Colombre, dove non mancano testi di stampo leopardiano[27].

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Questi scrittori hanno un antenato letterario comune. Sarà tuttavia opportuno osservare che non formano una “scuola”, si definiscono bensì in relazione a un’immagine volta a volta diversa di Leopardi. Alcuni tendono all’introspezione, altri alla satira e all’invettiva, altri ancora a una presa di distanza che non implica un totale disincanto. Alcuni sono legati al poeta, altri al filosofo, altri ancora all’appassionato studioso d’astronomia. Non si può parlare di un solo “leopardismo” o “operettismo”, e questo è abbastanza evidente se si analizzano i racconti di Calvino e Landolfi[28]. Direi dunque, per concludere, che negli anni Sessanta si assiste a un rinnovato interesse per le opere di Leopardi[29], e  che i due scrittori da noi considerati percorrono strade diverse ma non prive di incroci. Per entrambi si può parlare di una letteratura cosmica che, legata ai miti cosmogonici primitivi (è il caso di Calvino), alla tradizione della satira fantastica (è il caso di Landolfi), guarda anche alle Operette morali.

Calvino era consapevole dell’importanza delle prose leopardiane nelle opere di Landolfi. Nella postfazione dell’antologia Le più belle pagine di Tommaso Landolfi scelte da Italo Calvino, leggiamo:

[…] è solo in superficie che documentiamo anche il suo gusto per i finti “trattati”, le finte “conferenze”, le finte “operette morali”, ma senza escludere che un giorno si possa stabilire che erano finte solo fino a un certo punto, e che un filo che lega Leopardi a Landolfi esiste, tra i due borghi selvaggi e i due paterni ostelli e le due giovinezze spese sulle sudate carte e le due invettive contro le umane sorti all’apparir del vero. (Quanto ai dialoghi, che Landolfi scrisse in gran numero specie negli ultimi tempi, devo però dire che sono le sue cose che mi piacciono meno; se posso fidarmi della mia lettura in superficie, trovo che corrispondono alla sua vena meno esigente)[30]

Calvino sa bene, in fondo, “che un filo che lega Landolfi a Leopardi esiste”. 

Ci si potrebbe chiedere, infine, se Leopardi abbia generato una corrente “cosmicomica” e una corrente “fanta-satirica”, o se un certo Leopardi sia stato generato da queste correnti letterarie. Non è semplice dirimere la questione: per certi aspetti Leopardi è stato un precursore, ma di certo lo è anche diventato[31]. Alcuni autori lo hanno cioè riscoperto alla luce delle proprie poetiche e delle interpretazioni critiche del tempo, trovando nella sua opera le proprie radici[32].

Notes

[1] Le Cosmicomiche sono dodici racconti pubblicati per Einaudi nel 1965. Possono essere ricondotti al genere della cosmogonia e mostrano il vivo interesse di Calvino per il mito e per la scienza della natura. Le storie sono tutte precedute da un enunciato scientifico e raccontate da un unico multiforme personaggio, Qfwfq, testimone e spesso parte in causa delle vicende. Senza rinunciare al racconto per immagini tipico del mito, combinando cosmico e comico, servendosi dell’allegoria, Calvino proietta nello spazio situazioni tipicamente umane. Riflette così sui problemi, ora sociali ora esistenziali, dell’uomo d’oggi. I volumi cosmicomici di Calvino sono in tutto quattro:  Le Cosmicomiche (1965), Ti con zero (1967), La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche (1968) e Cosmicomiche vecchie e nuove (1984).

[2] Nel ciclo Galasseide, Landolfi riprende la forma del dialogo e quella della falsa conferenza, già sperimentate negli anni Trenta e Quaranta. Adotta prospettive cosmiche, sceglie punti di vista non umani, si avvale di un registro ironico o satirico, ribalta ogni certezza antropocentrica. Il ciclo farà parte dei Racconti impossibili, editi per Vallecchi nel 1966.

[3] Ricordiamo che il 23 aprile 1961 Calvino propone a Mario Socrate (che ha appena pubblicato Le favole paraboliche) di fondare “un movimento letterario cosmico”, insieme a “Lucentini che ha queste idee ben radicate in testa, ed è andato a vedere l’eclissi a Recanati” (I. Calvino, Lettere 1940-1985, a cura di L. Baranelli, Milano, Mondadori, 2000, p. 679; d’ora in avanti L); il 9 maggio 1962 scrive a Umberto Eco per confessargli che da anni vorrebbe scrivere un manifesto “Per una letteratura cosmica” (L, p. 705).

[4] “Il Caffè”, 4, 1964, p. 40; la nota è ora reperibile in I. Calvino, Romanzi e racconti, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori, 2004, 3 voll., p. 1322.

[5] Id., L, p. 531.

[6] Id., Tre correnti del romanzo italiano d’oggi [1958], in Id., Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, 2 voll., d’ora in avanti SI e SII; SI, pp. 61-75: 73.

[7] Cfr. C. Terrile, Le infinite possibilità del reale, in Ead., L’arte del possibile. Ethos e poetica nell’opera di Tommaso Landolfi, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2007, pp. 9-47.

[8] Cfr. T. Landolfi, Introduzione a A. Puškin, Poemi e liriche, Torino, Einaudi, 1960.

[9] Archivio Einaudi, Corrispondenza con autori e collaboratori (d’ora in avanti AE, Corrispondenza), T. Landolfi, cart. 110, fasc. 1662, n. 54.

[10] Ricordiamo anche che nel 1961 Landolfi riceve il premio Settembrini-Mestre per i Racconti e che tra i membri della giuria – Palazzeschi presidente – c’è pure Calvino.

[11] Negli anni Cinquanta Landolfi si interessa alla fantascienza. Presta attenzione all’antologia pubblicata da Vallecchi, ma anche a quelle pubblicate da Einaudi. Ne sono prova, tra l’altro, due lettere del 15 febbraio 1960 e del 25 luglio 1961 indirizzate a Giulio Einaudi, in cui Landolfi chiede una copia delle Meraviglie del possibile e del Secondo libro della fantascienza (le lettere sono conservate all’Archivio Einaudi:  Corrispondenza, T. Landolfi, cart. 110, fasc. 1662, n. 81 e 144). Calvino naturalmente non è estraneo ai progetti di Carlo Fruttero, Franco Lucentini e Sergio Solmi. Come testimoniano alcuni saggi e interventi (di cui mi sono occupata in altra sede), quest’ultimo dialoga con Calvino anche su Leopardi. Si vedano in particolare l’articolo Solmi lunare ma non troppo (uscito sulla “Repubblica” il 10 ottobre 1981, ora col titolo In memoria di Sergio Solmi, SI, pp. 1253-1256) e la lezione americana dedicata all’Esattezza (SI, pp. 677-696: 681).

[12] Il dialogo è un genere che Landolfi non abbandonerà mai: Dialogo dei massimi sistemi s’intitola il suo primo volume di racconti, e dialoghi saranno gli ultimi testi usciti sul “Corriere della Sera” nel 1979. Non è forse un caso che il 6 marzo 1974 Giulio Einaudi chieda a Landolfi di presentare i Dialoghi degli dei marini di Luciano. Landolfi sarebbe per Einaudi “l’ascoltatore e il presentatore ideale di Luciano oggi” (cfr. AE, Corrispondenza, T. Landolfi, cart. 110, fasc. 1662, n. 241).

[13] Scrive Calvino in una delle Lezioni americane: “In questa predilezione per le forme brevi non faccio che seguire la vera vocazione della letteratura italiana, povera di romanzieri ma sempre ricca di poeti, i quali anche quando scrivono in prosa danno il meglio di sé in testi in cui il massimo di invenzione e di pensiero è contenuto in poche pagine, come in quel libro senza uguali in altre letterature che è le Operette morali di Leopardi” (I. Calvino, Rapidità, SI, pp. 656-676: 671).

[14] La molle Luna apre la raccolta Ti con zero (1967), Le figlie della Luna viene pubblicato nel volume La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche (1968). Nel primo il corpo celeste viene catturato nel campo gravitazionale della Terra, nel secondo degli “esseri pressappoco umani” lo tirano giù dal cielo.

[15] I due testi di Calvino possono essere ricondotti a Odi, Melisso per l’avvicinamento della Luna, non per le situazioni descritte (Alceta teme la caduta dell’astro, non la provoca).

[16] Si vedano R. Bertoni, Note sul dialogo di Calvino con Leopardi, in Id. (a cura di), Giacomo Leopardi. A Cosmic Poet and His Testament, Turin, Trauben, 1999, pp. 69-100: 87; F. Serra, Calvino, Roma, Salerno Editrice, 2007, p. 14; G. Sandrini, Il sogno di Alceta: dagli errori antichi al fantastico moderno, “Rivista internazionale di studi leopardiani”, 6, 2010, pp. 47-59: 56, 58.

[17] F. Serra, Calvino, cit., p. 14.

[18] T. Landolfi, Il racconto del lupo mannaro, in Id., Opere 1937-1959, a cura di I. Landolfi, Milano, Rizzoli, 1991, pp. 247-250. Sul tema licantropico, tra le opere più recenti, merita attenzione il romanzo di M. Mari, Io venia pien d’angoscia a rimirarti, Milano, Longanesi, 1990, in cui Leopardi appare addirittura in veste di licantropo condizionato dalla luna.

[19] T. Landolfi, Il racconto del lupo mannaro, cit., p. 250.

[20] G. Pedullà, L’“operettismo” egotistico di Tommaso Landolfi, in N. Bellucci e A. Cortellessa (a cura di), “Quel libro senza uguali”. Le Operette morali e il Novecento italiano, Roma, Bulzoni, 2000, pp. 197-232: 213-214.

[21] L’esitazione di Pedullà nel prendere una posizione ben definita è comprensibile. Non direi che S.P.Q.R. e Quattro chiacchiere in famiglia siano nati “come tentativo di Landolfi di accodarsi al grande successo dello scrittore più giovane” (Landolfi non è il tipo di scrittore che si accoda al successo altrui), ma non escluderei un ammicco di Landolfi all’autore di Un segno nello spazio. Sarà peraltro utile notare che in diversi racconti dei primi anni Sessanta Landolfi ammicca a Leopardi, riprende il dialogo e il piccolo trattato, dà il suo personalissimo contributo alla letteratura fantascientifica. Si vedano per esempio: Un destino da pollo, “Terzo programma”, 1, 1962; Alla stazione, “Il Mondo”, 13 marzo 1962 (poi nei Racconti impossibili), Foglio volante, Chiacchiere all’alba e Zzzz!, sul “Corriere della Sera” rispettivamente il 17 luglio 1963, l’8 settembre 1964 e il 9 maggio 1965 (in Un paniere di chiocciole nel 1968), Isolia splendens, sul “Corriere della Sera” il 31 luglio 1964 (poi nel postumo Il gioco della torre). Com’è possibile constatare, quasi tutti questi racconti precedono l’uscita delle Cosmicomiche.

[22] Secondo Idolina Landolfi, i testi dei Racconti impossibili sarebbero stati scritti tra il 1960 e il 1963. Su dodici, quattro (Un destino da pollo, Alla stazione, A rotoli e S.P.Q.R.) sarebbero apparsi prima in rivista e poi in volume. Purtroppo le lettere tra Landolfi e Enrico Vallecchi (conservate all’Archivio Bonsanti di Firenze) non vanno oltre il maggio 1963, non permettono quindi di ricostruire con esattezza la genesi dei Racconti impossibili.

[23] I. Calvino, Tutte le cosmicomiche, a cura di C. Milanini, Milano, Mondadori, 2012.

[24] Anche in Quattro chiacchiere in famiglia (altro racconto del ciclo “Galasseide. From outside”) due extraterrestri cercano di definire il concetto di suono prendendo le mosse dalla notizia di una macchina parlante ritrovata sulla Terra. La riflessione sulla lingua (reale o immaginaria) non sorprenderà il lettore di Landolfi; come sottolinea Calvino nella postfazione dell’antologia Le più belle pagine di Tommaso Landolfi scelte da Italo Calvino (edita per Rizzoli nel 1982), è uno dei temi cardine dell’opera landolfiana.

[25] Le date di pubblicazione dei testi citati e l’uscita dei Racconti impossibili nel marzo del 1966 inducono a pensare che S.P.Q.R. fosse stato già scritto quando uscì La molle Luna.

[26] Anche Landolfi e Calvino pubblicano su queste testate negli anni Sessanta: Landolfi sul “Mondo”  e sul “Corriere della Sera”; Calvino sul “Giorno”. In relazione a Leopardi, ricordiamo per esempio che sul “Mondo” del 20 giugno 1961 esce La dea cieca e veggente, un racconto in cui Landolfi immagina di riscrivere L’infinito.

[27] Si vedano per esempio La creazione, Dolce notte, Il palloncino, Le gobbe nel giardino di Buzzati; Versamina o Il sesto giorno di Levi. Ricordiamo per inciso che Calvino legge i racconti di Primo Levi in anteprima, nel 1961, e che tra i suoi prediletti è proprio Il sesto giorno, un dialogo di stampo leopardiano.

[28] Semplificando un poco, i testi di Calvino sono legati al genere cosmogonico o cosmologico, quelli di Landolfi alla satira fantastica. I racconti di Calvino sono invenzioni comico-liriche o fantastico-surreali; quelli di Landolfi possono definirsi dialoghi morali o satire immaginose. I racconti di Calvino hanno un intreccio avventuroso, quelli di Landolfi si svolgono lungo il filo di un ragionamento serrato all’interno di un monologo o di un’azione dialogata. Calvino predilige la deformazione comica, Landolfi il satirico o il sarcastico. I personaggi di Landolfi mantengono spesso una distanza rispetto alla realtà osservata, quelli di Calvino sono parte in causa delle storie. Nei racconti di Landolfi, il distacco ironico non esclude l’interrogazione radicale sul senso della vita, i toni dell’invettiva, dell’accusa e della protesta, assenti invece in Calvino.

[29] Anche Pedullà giunge a questa conclusione: “forse non è nemmeno necessario supporre una duplice influenza di Landolfi su Calvino e viceversa. Tutti gli anni Sessanta sono stati un decennio di ‘rinnovato operettismo’” (G. Pedullà, L’“operettismo” egotistico di Tommaso Landolfi, cit., p. 214). Come afferma Domenico Scarpa, “la letteratura di quel tempo non era tanto diversa da come Calvino la vagheggiava. Per tutta la lunghezza degli anni sessanta va prendendo forma in Italia una letteratura fantastica coltissima, mercuriale, che moltiplica la chiarezza settecentesca per l’angoscia del XX secolo” (D. Scarpa, L’esordio dell’iperstoria, in Id. (a cura di), Atlante della letteratura italiana. Dal Romanticismo ad oggi, Torino, Einaudi, 2012, vol. III, pp. 842-848: 845).

[30] I. Calvino, L’esattezza e il caso, postfazione a Le più belle pagine di Tommaso Landolfi scelte da Italo Calvino, Milano, Garzanti, 1982; ora in SI, pp. 1099-1113: 1106-1107.

[31] Penso al modello di lettura di cui parla Jorge Luis Borges in Kafka e i suoi precursori (Otras inquisiciones, 1952), in Id., Tutte le opere, a cura di D. Porzio, Milano, Mondadori, 1984, vol. I, pp. 1007-1009.

[32] In questo studio, in cui riprendo alcuni temi trattati nella mia tesi di laurea (discussa nel 2010), ho considerato solo due scrittori (Calvino e Landolfi); ho nondimeno esteso la mia ricerca ad altri autori del fantastico italiano novecentesco.
Ho un debito di gratitudine nei confronti di Gloria Manghetti e di Roberto Cerati (nel frattempo purtroppo scomparso), che mi hanno permesso di consultare diversi carteggi rispettivamente all’Archivio Contemporaneo Bonsanti e all’Archivio della casa editrice Einaudi. Ringrazio inoltre Giovanni Maccari per aver risposto alle mie domande.

 

Pour citer cette ressource :

Rosanna Maggiore, "Leopardi e la letteratura cosmica degli anni Sessanta: l’esempio di Calvino e Landolfi", La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), septembre 2015. Consulté le 24/04/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/litterature/periode-contemporaine/leopardi-e-la-letteratura-cosmica-degli-anni-sessanta-l-esempio-di-calvino-e-landolfi