Assises du roman 2013 : "Comment faire parler ses personnages ?"
L'editore Chritian Bourgeois pubblicherà
prossimamente una raccolta in francese
dei testi scritti dagli autori in occasione
delle "Assises du Roman".
Partiamo da un insegnamento che John Gardner ha dato a Raymond Carver, suo giovane allievo: “Ricordati, tu non sei i tuoi personaggi: sono loro a essere te”. Nella fondamentale differenza evidenziata in questa frase sta tutto ciò che si può dire dell’autenticità di una voce letteraria, e del rapporto che essa deve avere con quella dell’autore.
E quando i personaggi parlano tra loro, chi è che parla? E con chi? Questa domanda tocca uno dei fondamentali più delicati della letteratura: il dialogo. Sia che il racconto sia gestito da un narratore esterno o interno all’opera, quando i personaggi parlano tra loro, parlano tra loro e basta. È una fase del tutto autonoma della narrazione, che possiamo definire sociale, e i pericoli di sbagliare si moltiplicano. Tipico è l’errore di utilizzarla per dare informazioni al lettore: si tratta di un trucco da quattro soldi che infrange la convenzione alla base, facendo crollare su se stessa tutta la costruzione letteraria. Attenzione, siamo già nello specifico della letteratura narrativa: il ricorso a questo espediente, infatti, può risultare accettabile o addirittura inevitabile se si sta adottando la forma del dialogo puro – come fa Platone –, o nella scrittura di copioni teatrali, che non offrono alternative. Ma quando si chiede al lettore di accettare l’atto di suprema superbia del romanziere, che crea un mondo tramite la voce di un narratore, il dialogo tra i personaggi deve rispettare delle regole di base, pena la fine improvvisa di quel mondo. La prima, come detto, è che i personaggi devono dialogare tra loro: nulla dev’essere detto a beneficio del lettore – esso è un semplice testimone del dialogo, per di più clandestino. La seconda è che, salvo rare eccezioni, ai dialoghi non deve essere affidato il compito di far emergere nessuna verità: parlando tra loro i personaggi si mentono, o si nascondono qualcosa, o omettono di dirsela – così come avviene nella realtà. Sono i dialoghi, infatti, l’unico strumento attraverso il quale menzogna e omissione penetrano nell’opera letteraria, essendo esse vietate al Narratore (sarebbe un altro trucco da quattro soldi), ma allo stesso tempo essendo anche una fonte insostituibile di energia drammaturgica per l’avanzamento del racconto. C’è poi una terza regola, almeno per me, che marca la differenza tra i dialoghi in un romanzo e quelli nelle sceneggiature cinematografiche o nei copioni teatrali: i dialoghi non devono essere sempre necessariamente brillanti, intensi, utili e incalzanti. Ci sono volte in cui, al contrario, devono essere spenti, poveri – delle perdite di tempo, delle occasioni mancate –, e l’opera dimostrarsi in grado di sostenerli e di nutrirsene lo stesso. Questo perché, diversamente dal cinema e dal teatro, in letteratura non esiste un’economia produttiva con cui fare i conti, e dunque ci si può permettere il lusso dell’improduttività. Anche questo comporta un certo autocontrollo da parte dell’autore, che deve essere capace di limitare l’esibizione muscolare del proprio talento di battutista. E riguardo quest’ultimo punto vorrei concludere facendo due esempi, un frammento di dialogo brillante e uno di dialogo improduttivo – entrambi secondo me magistrali ma, per l’appunto, opposti per forma e funzione.
Frammento di dialogo brillante, tra il fratello di Selena e Ginnie in Guerra contro gli esquimesi di J.D. Salinger:
– Senti. Le ho scritto otto porche lettere. Dico, otto. Non ha risposto nemmeno a una, che è una.
Ginnie esitò.
– Be’, forse aveva da fare.
– Già, da fare. Daffare come una porca formica.
– Ma c’è proprio bisogno di dire tante parolacce? – chiese Ginnie.
– Un bisogno porco.
Frammento di dialogo improduttivo, tra Anna e Umberto in Rosa Gagliardi di Carlo Cassola:
– Io faccio sempre confusione tra Casale, Guardastallo e Montescudaio – disse Anna quando ebbe saputo che il giovane era di Casale.
– Male – fece il giovane.
Anna lo guardò interrogativamente.
– Noi di Casale ci teniamo a non esser confusi coi guardastallesi e coi montescudaini – rispose il giovane.
– Perché? – fece Anna.
– Oh, così – rispose il giovane – Non vorrei essere un guardastallese o un montescudaino nemmeno se mi coprissero d’oro.
Pour citer cette ressource :
Sandro Veronesi, Assises du roman 2013 : "Comment faire parler ses personnages ?", La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), septembre 2013. Consulté le 25/12/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/litterature/periode-contemporaine/assises-du-roman-2013-comment-faire-parler-ses-personnages-