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Pietro Bartolo, Lidia Tilotta, «Lacrime di sale» (2016)

Par Rosanna Maggiore : Enseignante d'italien et docteure - Université de Bourgogne
Publié par Alison Carton-Kozak le 29/03/2018

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Scheda di lettura del libro ((Lacrime di sale)) di Pietro Bartolo e Lidia Tilotta, pubblicato nel 2016 da Einaudi.

Gli autori

Lacrime di sale. La mia storia quotidiana di medico di Lampedusa fra dolore e speranza è un libro di Pietro Bartolo e Lidia Tilotta. Pubblicato da Mondadori nel 2016, è stato tradotto in diverse lingue e ha ricevuto il premio letterario Vitaliano Brancati 2017 nella sezione saggistica.

Lidia Tilotta è una giornalista, lavora alla testata regionale della Rai (Tgr) e si è spesso occupata di migrazioni nel Mediterraneo; Pietro Bartolo è un medico specializzato in ginecologia, da sempre in prima linea nel soccorso ai migranti, noto anche per aver preso parte al film Fuocoammare di Gianfranco Rosi, uscito sempre nel 2016.

Il libro

L’idea di “raccontare venticinque anni di vita e di lavoro”, scrive Bartolo, nasce “da un’intervista rilasciata a Lidia Tilotta […] davanti alle foto di Nino Randazzo che, per primo, ha documentato la tragedia del 3 ottobre 2013. Davanti a quegli scatti è iniziato un racconto che continua ancora oggi”. “Venticinque anni di vita” e non solo “di lavoro”, perché Bartolo lega costantemente la propria storia a quella dei migranti. È questo, in fondo, il tratto caratteristico del libro.

Le lacrime di sale – che nascono quando l’acqua del mare si secca sulla pelle lasciando una candida patina – sono infatti quelle dei migranti, ma anche quelle del padre di Pietro e dei pescatori di Lampedusa. La prima morte descritta non è quella dei profughi che non riescono ad approdare sull’isola, bensì quella che Bartolo guarda in faccia a 16 anni, cadendo in mare durante una battuta di pesca. Bartolo descrive l’esperienza del viaggio, dell’esilio in una terra vicina e al tempo stesso straniera, il desiderio di un possibile o estremo riscatto, la discriminazione e la violenza a causa della diversità. Lo fa parlando tanto delle sue esperienze di isolano spinto a lasciare Lampedusa, del fratello costretto a vivere in un manicomio in condizioni spaventose o dello zio morto in mare, quanto dei migranti che hanno attraversato la guerra, il deserto, la prigionia e infine il Mediterraneo. “Mare nostrum"((Mare nostrum è il nome di una missione di salvataggio, attuata dalle forze della Marina Militare e dell'Aeronautica Militare italiane dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014 nel Canale di Sicilia.)) e “Figli dello stesso mare” sono, non a caso, i titoli del primo e dell’ultimo capitolo del libro, dedicato “Ai nostri padri, / Giacomo e Gaspare / Alle nostre madri, / Grazia e Nuccia. / Alle madri e ai padri, ai figli / e alle figlie che cercano solo / un posto dove poter vivere e crescere”. Una dedica in cui l’uso del “noi” viene esteso: si passa dal personale (“i nostri padri”, “le nostre madri”) all’universale (“alle madri e ai padri”), dal passato al futuro (dai genitori ai figli). La seconda parte potrebbe invece ricordare “il diritto ad avere diritti” di cui parlava Hannah Arendt, il diritto cioè ad avere “un posto nel mondo che dia alle opinioni un peso e alle azioni un effetto"((Si veda Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo [1951], Edizioni di Comunità 1996, pp. 410-419.)).

Diversamente dal docufilm Fuocoammare, dove i lampedusani e i migranti non comunicano e dove pochissimo spazio è riservato al dialogo, nel libro Lacrime di sale la storia dei profughi passa insomma anche attraverso il loro rapporto con Bartolo.

Se la scelta di legare la propria vicenda a quella dei migranti è convincente, meno lo sono, a parere di chi scrive, alcuni passaggi del libro in cui la consapevolezza che l’autore ha del proprio ruolo sfuma a tratti in una dimensione enfatica o celebrativa certo dettata dalle circostanze, ma che può sorprendere all’interno di una cornice autobiografica. Si può allora sentire l’esigenza di un maggiore riserbo, di una narrazione più asciutta, di quel tanto di distacco necessario a guardare la realtà dall’esterno. Il libro non è inoltre privo di considerazioni che richiederebbero un approfondimento e di formule retoriche non particolarmente originali, aspetti tuttavia comprensibili in un testo che mantiene il registro dell’intervista e il cui primo obiettivo non è letterario ma di testimonianza.

Tra le tante storie, Bartolo racconta di donne che rinunciano “a quello che non è il frutto di un amore, ma la drammatica conseguenza di una violenza”, ma anche di donne rese sterili con terapie ormonali da chi vuole costringerle a prostituirsi in Europa; di persone disposte a vendere un rene pur di partire o a ingerire oggetti pur di farsi ricoverare negli ospedali e non essere rimpatriati. Racconta, soprattutto, storie di singoli individui:

Yasmin, che partorisce Gift circondata dall’affetto delle donne di Lampedusa; Hassan, che per tutto il viaggio porta sulle spalle il fratello paralizzato; Omar, che non riesce a dimenticare; Faduma che, per crescerli, ha dovuto separarsi dai suoi sette figli; Jerusalem, a cui i trafficanti di uomini hanno rubato la spensieratezza; Kebrat, miracolosamente strappata alla morte; e poi Sama e il suo gatto, Mustafà e la piccola Favour.

Nelle pagine di cronaca, i migranti vengono spesso descritti come una massa informe: sono numeri, grafici, statistiche. Il libro di Bartolo e di Tilotta cerca di restituire a questi uomini e a queste donne i loro nomi, la loro identità, la loro storia personale e i loro progetti. Narrare storie di vita senza cedere alla retorica dei numeri e delle stigmatizzazioni, scriveva Alessandro Leogrande, aiuta a uscire dai circoli viziosi delle false notizie che descrivono il nostro paese più arretrato di come in realtà non sia.

Bartolo ricorda inoltre alcune date, come quella del 3 ottobre 2013, in cui 368 persone trovarono la morte. O quella in cui vide venticinque uomini chiusi dagli scafisti nella stiva di una barca e morti per soffocamento. Si ferma quindi sulla “crudeltà dell’uomo” – questo il titolo del capitolo centrale del libro –, dell’uomo che per convinzione ideologica si arroga il diritto di togliere dignità ad altri uomini, ma anche dell’uomo che agisce, o meglio obbedisce, senza interrogare i propri gesti.

Non è facile raccontare e non ci si abitua mai al dolore, scrive Bartolo, ma occorre farlo per lasciare traccia di quanto è accaduto e accade, per capire cosa potrebbe succedere in un futuro non lontano. Perché in fondo la letteratura è anche questo, un ponte tra passato e futuro. Tra padri, madri, e figli.

Collegamenti interni

 

Note

Pour citer cette ressource :

Rosanna Maggiore, "Pietro Bartolo, Lidia Tilotta, «Lacrime di sale» (2016)", La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), mars 2018. Consulté le 27/04/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/bibliotheque/pietro-bartolo-lidia-tilotta-lacrime-di-sale-2016