Le «Memorie» di Amalia Nizzoli (1841), un racconto di formazione nell'Egitto dell'Ottocento
Questo testo è la rielaborazione di un intervento presentato nell'ambito del seminario "Hors canon : parcours et écritures de femmes dans la littérature italienne", tenutosi all'ENS de Lyon il 2 febbraio 2024.
1. Introduzione: La letteratura di viaggio al femminile
1.1 Una definizione di genere
Nel senso più ampio del termine, il genere della narrativa di viaggio comprende opere che sono in parte opera letteraria e in parte documento antropologico, in quanto offrono al lettore tante prospettive sul luogo descritto quanto sulla visione dello scrittore stesso. I racconti di viaggio prendono forme diverse, che attraversano il tempo e lo spazio, ma il genere è veramente cresciuto nell'epoca moderna, sia all'epoca delle Grandi Scoperte che nell'ambito del Grand Tour del XVIII secolo.
Per definizione, il racconto di viaggio è proteiforme, poiché riflette le considerazioni personali di un individuo su un luogo. Le osservazioni dei viaggiatori possono essere rintracciate attraverso diversi tipi di documenti, come gli scritti di geografi o storici, i diari di bordo, le guide di viaggio, gli itinerari di pellegrinaggio e la corrispondenza.
Poiché, come abbiamo già visto, la scrittura di viaggio ci parla tanto del luogo di peregrinazione quanto del viaggiatore che lo osserva, lo studio del genere implica necessariamente l'analisi della figura del viaggiatore. Prendiamo l'esempio dell'epoca moderna, quando il genere ha conosciuto un successo senza precedenti : il viaggiatore "tipico" era un esploratore del Nuovo Mondo, un diplomatico, un missionario o, poco più tardi, un giovane di buona famiglia, nell'ambito del Grand Tour.
In sostanza, quindi, il genere è propriamente riservato agli uomini, nella misura in cui viaggiare e scriverne richiede una serie di prerequisiti molto esclusivi: il viaggiatore deve poter godere di libertà di movimento, avere le risorse finanziarie per sostenere le spese di viaggio, avere un livello di istruzione sufficientemente elevato per poter mettere su carta le proprie impressioni di viaggio e avere accesso alla pubblicazione. Sono tutte condizioni necessarie che tradizionalmente riservano l'accesso al genere agli uomini ricchi e letterati.
Tuttavia, anche alcune donne hanno lasciato un segno nella storia del genere, soprattutto a partire dalla seconda metà dell'Ottocento. A titolo di esempio, possiamo citare tre grandi nomi di donne che hanno marcato il genere attraverso l'aspetto pionieristico del loro lavoro : Nellie Bly (1864-1922), giornalista investigativa del New York World e pioniera del reportage clandestino, che nel 1890 scrisse Il giro del mondo in 72 giorni; Alexandra David-Néel (1868-1969), esploratrice franco belga che ottenne un'immensa fama come prima donna europea a entrare a Lhasa (esperienza che raccontò nel suo libro Viaggio di una parigina a Lhassa); o Ella Maillart (1903-1997), esploratrice e scrittrice svizzera che viaggiò a lungo in Asia e i cui resoconti si trovano nel suo libro Viaggio proibito: da Pekin al Kashmir.
Ma se la loro inclusione nel canone può essere vista come un segno della democratizzazione del genere e del graduale accesso delle donne alle condizioni necessarie per viaggiare, va notato che la celebrità delle grandi viaggiatrici è tanto più accentuata che i loro viaggi sono ancora considerati come eccezioni, presentati come eccentricità.
1.2 Lo spazio delle donne italiane nel canone della letteratura di viaggio
Nell'ambito del seminario, è sembrato interessante esaminare la presenza e l'integrazione delle donne italiane in questo ricco quanto chiuso canone della letteratura di viaggio. Sebbene sia disponibile poco materiale diretto sulle viaggiatrici italiane, un libro pubblicato nel 2012 da Francoangeli, a cura di Federica Frediani, Ricciarda Ricorda e Luisa Rossi, offre una panoramica degli scritti di alcune di queste viaggiatrici (Spazi Segni Parole. Percorsi di viaggiatrici italiane).
Nell'introduzione al volume, le curatrici affermano di voler presentare "le numerose viaggiatrici europee diventate simbolo di un’emancipazione precoce ed eccentrica, di uno sguardo a volte inedito, a volte prevedibile, ma sempre rilevante" (2012, 7). L' intento del libro è quindi quello di offrire uno studio di queste testimonianze di viaggiatrici, che raccontano un mondo "tutto maschile", attraverso lo sguardo di donne ma anche di italiane: in particolare, si vuole cercare di individuare delle tendenze nei racconti del "viaggio femminile nazionale".
Nella sua prefazione, Luca Clerici sottolinea gli aspetti di avventura e "spaziali e mentali" del viaggio nel mondo per le donne, che tradizionalmente ne sono rimaste prive. È proprio questo aspetto innovativo che rende la scrittura di viaggio femminile una forma di letteratura completamente nuova sia in termini di forma che di contenuto. Infatti, la scrittura di queste viaggiatrici non corrisponde necessariamente alle "metodologie" classiche della scrittura di viaggio (le autrici non hanno necessariamente avuto accesso alla stessa formazione o agli stessi riferimenti culturali dei loro omologhi maschili), e la loro condizione di donne permette anche di offrire una prospettiva diversa e nuova sui mondi che scoprono, spesso mescolando autobiografia ed esperienza di viaggio.
L'opera scientifica si compone quindi di quindici articoli tematici, dedicati direttamente ad autrici o a "tipi" di scrittrici (la viaggiatrice solitaria, la giornalista-reporter, la scienziata, la fotografa), o a destinazioni di viaggio (l'Europa, l'Oriente, il Caucaso, l'America del Sud, l'Africa coloniale), o talvolta anche ad aspetti specifici della scrittura (donne che scrivono di donne, le condizioni del viaggio femminile).
Tra queste, ho scelto la figura di Amalia Nizzoli, che riunisce diversi aspetti molto interessanti di questo studio della donna "viaggiatrice". La Nizzoli racconta l'Oriente (nell'ambito dell'ampio filone dell'orientalismo letterario, molto importante nell'Italia dell'Ottocento), esamina il posto della donna in un'altra cultura e unisce il racconto della scoperta dell'Egitto alla propria storia di vita: sono le sue Memorie, che si presentano come un diario di viaggio.
2. Storia della vita di Amalia Nizzoli (1806-1845)
Amalia Sola nasce a Livorno il 21 luglio 1805. I suoi genitori, originari del Piemonte, fuggono da Torino all'arrivo delle truppe francesi nel 1818. Ha appena 13 anni quando la sua famiglia si trasferisce in Egitto, dove abita con lo zio Filiberto Marucchi, medico del Defterdar-bey (Ministro delle Finanze) di Asyut.
Il libro si apre con il racconto del viaggio da Torino all'Egitto: dopo un lungo viaggio in nave, la famiglia Sola arriva ad Alessandria d'Egitto, dove si ferma per pochi giorni (ma abbastanza per vedere le colonne di Pompeo e gli obelischi di Cleopatra); poi viaggia a dorso d'asino fino a Rosetta, da dove si imbarca per il Cairo. Arrivano infine ad Asyut, dove vivono per più di otto mesi con lo zio; è qui che impara l'arabo e inizia a scoprire la condizione delle donne orientali, in particolare osservando l'harem del Defterdar-bey, che confina con la casa dello zio.
Tornata al Cairo con la famiglia, Amalia rifiuta di sposare un mercante francese amico dello zio e molto più anziano di lei (il signor Paolo D'Andrea). Lasciata più o meno libera di scegliere il proprio marito, all'età di quattordici anni accetta la proposta di matrimonio di Giuseppe Nizzoli, un giovane lombardo che all'epoca è cancelliere del consolato austriaco ad Alessandria. Il matrimonio, celebrato per procura il 30 gennaio 1820 nella chiesa cattolica del Cairo, segna una tappa importante nella vita di Amalia, che oltre alla vita sentimentale scopre attraverso il marito il mondo della diplomazia e dell'archeologia.
Nel 1822, Amalia (allora incinta) e il marito tornano a Livorno per motivi di salute. Giuseppe Nizzoli porta con sé una grande collezione di antichità egizie, che poi rivende al Granduca di Toscana Leopoldo II. Questa collezione, composta da circa 1.400 oggetti, frutto dei suoi scavi archeologici e di vari acquisti, è oggi esposta al Museo Egizio di Firenze e costituisce la cosiddetta "seconda" collezione Nizzoli (ne esistono tre in tutto, una a Vienna e una al Museo Archeologico di Bologna).
Dal 1822 al 1824, la famiglia Nizzoli vive a Firenze, Milano e Torino, prima di tornare in Egitto. Al Cairo, Amalia incontra la moglie del Defterdar-bey e quella di Abdin-bey (un generale turco presso il quale lo zio lavora come medico). L'incontro con queste due donne e la visione degli harem in cui vivono sono alcuni dei momenti più importanti del soggiorno egiziano di Amalia, che si propone di descrivere il modo in cui le donne ci vivono.
La seconda parte delle Memorie si concentra sugli sviluppi della geopolitica egiziana e sul lavoro di Amalia Nizzoli come archeologa a fianco del marito. Nella primavera del 1826 è a capo di una campagna di scavi archeologici nella necropoli di Saccarah: poiché il marito è trattenuto al Cairo per le sue attività diplomatiche, diventa la prima donna a guidare una missione archeologica in Egitto (molti degli oggetti scoperti durante questi scavi entrano a far parte della terza collezione Nizzoli).
Oltre a visitare i grandi siti storici e archeologici dell'Egitto (le rovine di Menfi, le piramidi di Giza, Saccarah, Kheops; la cittadella del Cairo, il convento copto, la moschea di Amru), l'autore racconta alcuni momenti importanti della storia egiziana come testimone in prima persona (le riforme militari di Solimano Pascià, la partenza della grande carovana per La Mecca, l'epidemia di peste al Cairo, il tentato assassinio del colonnello Rey).
Nell'estate del 1828, Giuseppe Nizzoli è trasferito a Smirne. Durante il viaggio, la seconda figlia di Amalia, allora bambina, soccombe alla malattia; la nave quasi affonda e viene infine attaccata dai pirati prima di giungere a destinazione. Questo episodio altamente traumatico della vita dell'autrice è descritto in modo dettagliato e molto crudo nel suo racconto di vita.
L'agosto 1829 segna la fine del periodo egiziano per Amalia Nizzoli: il marito ottiene un incarico a Trieste, dove la famiglia si ferma per otto mesi. Dopo la partenza del marito per Vienna, Amalia si trasferisce a Milano nel marzo 1830. Il suo soggiorno in Italia dura fino al 1835, quando Giuseppe viene nominato vice console di Zante. Le memorie di Amalia Nizzoli terminano con il suo arrivo a Zante il 13 agosto 1835.
Infatti, Silvia Einaudi, che ha scritto un bellissimo articolo sugli scavi di Amalia Nizzoli in Egitto, racconta (2013, 10) :
La vita dei Nizzoli a Zante fu segnata da difficoltà e ristrettezze economiche fino al 1845, quando Giuseppe Nizzoli fu trasferito come console nell'isola di Syra (Cicladi). Durante il soggiorno a Zante, i Nizzoli incontrarono Francesco Cusani, scrittore, storico ed editore milanese che, venuto a conoscenza delle vicissitudini egiziane di Amalia, la convinse a pubblicare le sue memorie. Le Memorie furono pubblicate a Milano nel 1841. [...] Il 1841 è anche l'ultimo anno per il quale si hanno notizie attendibili sull'esistenza di Amalia; la data della sua morte non può essere fissata con precisione, ma deve essere certamente anteriore al 1849, anno in cui il marito si risposò con una donna di Corfù.
3. Alcuni punti di analisi dell'opera
3.1 Il contributo di Amalia Nizzoli al genere della letteratura di viaggio
L'autrice racconta la sua esperienza in Oriente non nel contesto di un viaggio, ma piuttosto di una vita da espatriata. È alla fine della sua vita che scrive quello che si potrebbe definire un viaggio iniziatico, ambientato nell'Egitto dell'inizio del XIX secolo, dove trascorre l'adolescenza e gran parte della sua vita di giovane sposa e madre. In questo contesto, il suo racconto di viaggio è tanto più speciale che la giovane Amalia cresce e completa la sua formazione in Egitto, a differenza del "classico" racconto di viaggio in cui l'autore descrive la sua esperienza di una nuova cultura con un patrimonio culturale già consolidato alle spalle.
È questo patrimonio culturale già consolidato che molto spesso contribuisce alla costruzione di un "esotismo" dello straniero, un aspetto che è certamente abbastanza tipico della scrittura sull'Oriente, ma che costituisce un filtro, un particolare bias per la comprensione del mondo e della nuova cultura con cui il viaggiatore si confronta.
Tuttavia, sebbene non partecipi, in senso stretto, alla scrittura di un "mito" dell'Oriente, possiamo comunque scorgere nella sua scrittura un filtro molto classico della scrittura di viaggio, ovvero il senso di "superiorità" della cultura europea, tipico dell'ambiente coloniale in cui gravita. Ciò è visibile in vari punti della narrazione, sia nella terminologia utilizzata, che riflette l'ordine sociale e razziale che regna in Egitto (i negri, gli arabi, i turchi), sia nella costante separazione tra gruppi di persone (tra occidentali e locali, separazione che è molto marcata a parte nel rapporto di Amalia con le mogli dei ministri, che rientrano nella stessa categoria di "mogli di diplomatici" come lei). Questa separazione è talvolta visibile anche geograficamente, in particolare quando l'autrice contrappone il trambusto dei "bazari" turchi alla calma dei quartieri degli occidentali, o in modo ancora più eloquente quando ci racconta della città di Smirne, dove, secondo lei, gli occidentali hanno diviso i villaggi circostanti per nazionalità.
Questa separazione, unita a un certo senso di superiorità, seppur non dichiarato, è espressa anche nel passaggio del racconto sugli scavi archeologici diretti dai Nizzoli. Amalia spiega al lettore che i "lavoratori arabi" (come vengono chiamati i lavoratori degli scavi) devono essere continuamente controllati per evitare che "rubino" le antichità o che alterino il sito di scavo a vantaggio di altri influenti collezionisti europei della zona. Questa sfiducia verso gli scavatori è ancora di più il risultato di una visione occidentale e coloniale abietta, che consiste nell'accusare gli abitanti del luogo di furto se vogliono approfittare del massiccio e sistematico furto di tombe effettuato dagli europei nella loro regione...
3.2 Uno sguardo femminile sull'Oriente
Ciò che ci interessa particolarmente nello scrivere di Amalia Nizzoli è quello che ci dice sulle condizioni di vita di una donna occidentale in Oriente. A questo proposito, uno dei maggiori contributi dell'opera di Amalia Nizzoli è il fatto che ci parla delle condizioni di vita e, in particolare, delle difficoltà incontrate da una donna che viveva in un ambiente di espatrio in Egitto all'inizio del XIX secolo.
Innanzitutto, è fondamentale affrontare la questione dell'ambiente di vita dell'autrice, che non è una semplice viaggiatrice ma passa dall'essere una giovane ragazza nelle sfere privilegiate della società egiziana (lo zio è medico del ministro) all'essere la moglie di un diplomatico e influente archeologo. Se il tema dell'insicurezza ricorre in alcuni punti del racconto, è più il risultato di una paura sistemica che di una condizione sociale difficile (la categoria di "viaggiatrice" non è sempre né privilegiata né desiderabile): l'autrice fa riferimento a una certa paura degli uomini nelle strade dei quartieri turchi, dovuta alla sua cultura occidentale (è una donna, scoperta e cristiana).
Inoltre, come abbiamo già detto a proposito degli scavi archeologici, il clima di sfiducia che regna tra gli occidentali e la gente del posto fa sì che, per lasciare Amalia e sua figlia da sole alla guida del sito di scavo, Giuseppe Nizzoli richieda ufficialmente un documento che attesti la loro protezione per tutta la durata della sua assenza. È un ambiente abbastanza sicuro per la nostra autrice, ma che illustra chiaramente la natura particolare del suo caso e i rischi a cui è esposta in quanto donna.
Ma questa visione femminile dell'Egitto è anche quella di una moglie e di una madre. Nei diari di viaggio degli uomini, poco presente (o perfino assente) è il tema della vita familiare o delle conseguenze del viaggio per la famiglia. Invece nel racconto di Nizzoli vediamo una donna costretta al matrimonio (anche se le viene lasciato un certo margine di manovra nella scelta del marito), che segue il marito ovunque egli vada per lavoro: il "viaggio" era inizialmente una conseguenza della fuga dei genitori in Egitto, e poi per Amalia è diventato uno stile di vita a sé stante come moglie di un diplomatico.
Per di più, il racconto dei viaggi di Amalia Nizzoli segue la nascita dei figli, anch'essi portati in viaggio fin da piccoli nell'ambito degli incarichi paterni. Uno dei passaggi più impressionanti del libro racconta la perdita della giovanissima figlia di Amalia, Luigia, già malata, che muore durante una traversata in mare. Questa morte brutale fu ancora più traumatica per la madre perché, durante il viaggio in nave, il corpo della figlia fu rapidamente messo in cassa e gettato in mare dai marinai, nonostante le proteste e le grida di dolore di Amalia. È uno spettacolo atroce, raccontato in modo molto crudo dall'autrice, che mostra al lettore sia la brutalità delle morti sia l'impossibilità di elaborare il lutto durante il viaggio: le condizioni del viaggio in barca rendono impossibile l'attesa (per motivi igienici e per il rischio di diffusione della malattia) dell'organizzazione di qualsiasi rito - soprattutto in un Paese che non osserva le stesse usanze religiose e funebri - per permettere alla famiglia di accompagnare il defunto e di piangerlo.
3.3 Le donne orientali nell’opera di Amalia Nizzoli
Infine, nel racconto della sua vita, l'autrice si propone di descrivere la vita e i costumi delle donne egiziane, dando voce ai personaggi femminili. Nei diari di viaggio, in particolare quelli sull'Oriente, le donne sono tradizionalmente lasciate sullo sfondo, o sono oggetto di descrizioni tanto più mitiche che l'accesso molto limitato agli harem le rende irraggiungibili e quindi fonti di un ricco immaginario.
Questa inaccessibilità della figura della donna orientale al grande pubblico rende i resoconti dei viaggi delle donne in Oriente ancora più preziosi, perché danno accesso a informazioni più reali sulla condizione delle donne orientali. In questo contesto, i lunghi passaggi di Amalia Nizzoli sulle donne negli harem sono accattivanti per il lettore e di grande interesse per il ricercatore.
Il suo lavoro si intitola giustamente Memorie sull’Egitto e specialmente sui costumi delle donne orientali e gli harem.
Amalia è interessatissima alla presenza femminile, che si può dire rappresenti la motivazione alle sue memorie: alle donne incontrate durante il suo soggiorno egiziano Amalia dedica praticamente gran parte delle sue annotazioni, che diverranno poi le sue Memorie. Ed è con la speranza "di far conoscere, come donna italiana, alle mie concittadine i costumi e le usanze da me esaminati, aneddoti ed avventure o non troppo noti, o grandemente travisati" (Nizzoli, pp. XVI-XVII) che Amalia si lascia convincere a rendere pubbliche le sue memorie, come ella ci confessa nell'introduzione alle stesse, scritta il 27 agosto 1840 (Frediani, Ricorda, Rossi, 2012, 67).
Fin dall'inizio del suo racconto, la giovane Amalia è consapevole dei molti miti e stereotipi che circondano le donne egiziane nell'immaginario collettivo e sa di essere in una posizione unica per dare uno sguardo più accurato agli usi e costumi delle donne orientali. Come sottolinea nei capitoli iniziali, gli harem, ad esempio, non sono accessibili agli stranieri, eppure, poiché parla l'arabo e ha legami con le mogli dei diplomatici, ha l'opportunità di visitare questi harem, di parlare con le donne che vi si trovano e di tracciare ritratti senza giudizi.
Negli harem che Amalia visita più volte, si meraviglia della bellezza e della ricchezza dei luoghi, trascorrendo il suo primo giorno in compagnia di donne orientali che fumano, pregano, mangiano e anche bevono. Con la zia, piuttosto annoiata e poco convinta dell'esperienza dell'harem, Amalia assiste al lavaggio collettivo delle mani e alle discussioni, non sempre interessanti. Le due donne girano per le varie stanze dell'harem e per il giardino (dove incontrano il personale maschile dell'harem) e incontrano, tra gli altri personaggi affascinanti, la “kiaja”, la governante dell'harem. Queste interazioni rivelano la grande curiosità della narratrice nei confronti di una cultura molto lontana dalla sua: riconoscendo con le sue compagne orientali le grandi differenze (viste come stranezze) che le separano, Amalia esprime comunque il desiderio di ripetere l'esperienza dell'harem per conoscere ancora meglio gli usi e i costumi del Paese.
Tra gli altri personaggi femminili, la narratrice adulta si sofferma su alcune donne che hanno segnato la sua esperienza egiziana. La prima è la “cameriera nera” incontrata ad Asyut, che lavora per lo zio e che le insegna l'arabo. Le donne che circondano Amalia sono soprattutto membri della sua famiglia (la sorella, la madre, la zia) e le mogli di ministri e altri diplomatici che incontra nelle serate mondane in cui accompagna il marito. Sono state queste donne ad aprirle le porte degli harem, tra cui una delle mogli del Gran Tresoriere Filiberto Marucchi, e Rossana, moglie di Abin-Bey, con cui Amalia era particolarmente amica.
Infine, le ultime donne orientali presentate dal narratore sono le danzatrici che si esibiscono nei vari festival: se da un lato Amalia ammira il loro indubbio talento, dall'altro osserva che è certamente da queste donne che gli uomini traggono spesso la loro visione mitizzata e fortemente sessualizzata delle donne orientali. E a ragione, sono le uniche donne su cui il viaggiatore tradizionale può proiettare una qualsiasi visione, mentre la donna orientale che vive negli harem è descritta dalla nostra osservatrice con molto più pudore e classe, e dal colloquio con queste donne capisce che per loro la vita negli harem è soprattutto sinonimo di protezione da parte dei mariti.
Per concludere questo rapido studio sul racconto di Amalia Nizzoli, lasciamo la parola ad Anna Vanzan, che giustamente scrive nel Spazi Segni Parole (2012, 74) :
Se le pagine di Amalia mettono in questione alcuni degli stereotipi più comuni riguardo al mondo islamico, e in particolare riguardo alle donne, non sono esenti però dall'impronta della cultura romantica europea, che, pur non riuscendo qui ad esprimere la sua vena esotica, tuttavia si manifesta nella sua accezione 'eroica'. Fin dall'inizio del suo soggiorno Amalia si rivela consapevole della eccezionalità della sua posizione, dovuta a vari fattori: la sua giovane età, il suo appartenere ad una famiglia che gode di posizione privilegiata nel territorio straniero ed il suo ingresso, tramite matrimonio, in un'altra famiglia prestigiosa, la sua conoscenza della lingua araba, il suo poter frequentare tanto la società diplomatica europea che quella locale (o meglio, quella elitaria costantinopolitana), il suo esser l'unica donna a dirigere degli scavi archeologici, la sua capacità di aver a che fare con la popolazione locale, anche di bassa estrazione, ottenendone sempre rispetto e deferenza. Anche se Amalia è prigioniera dei valori patriarcali della sua società, valori che non riesce a mettere in discussione, pure dimostra a volte un chiaro tentativo di affermazione della propria superiorità nonostante il genere cui appartiene.
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Pour citer cette ressource :
Romane Pierlovisi, Le Memorie di Amalia Nizzoli (1841), un racconto di formazione nell'Egitto dell'Ottocento, La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), décembre 2024. Consulté le 30/12/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/xvie-xixe/le-memorie-di-amalia-nizzoli-1841