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Amedeo Vigorelli, «La “pazienza” di Giacomo Leopardi. Agire e patire: analisi del sistema dello Zibaldone» (2019)

Par Agnese Pignataro : Professeure agrégée d’italien. Doctorante en sciences du langage - Université Lyon 2
Publié par Alison Carton-Kozak le 17/09/2020

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Recensione del libro di Amedeo Vigorelli, ((La “pazienza” di Giacomo Leopardi. Agire e patire : analisi del sistema dello)) Zibaldone, Milano, Sesto San Giovanni, Mimesis, 2019.

 

 

Note de l’auteure : les numéros de pages indiqués entre parenthèses font référence au livre de Vigorelli, sauf ceux précédés de la lettre "Z" qui indiquent des pages du Zibaldone. Les italiques dans les citations sont de Vigorelli.

 

“La pazienza di Leopardi può valere ancora di monito al secolo che viene”: così si chiude il recente saggio di Amedeo Vigorelli, che ci propone una lettura in chiave filosofico-antropologica dell’opera di Giacomo Leopardi. Professore di Filosofia Morale all’Università degli Studi di Milano, studioso della filosofia italiana contemporanea e in particolare di Piero Martinetti, Vigorelli intende nel suo lavoro mostrare come la morale leopardiana possa rivelarsi una possibile “strada per la ricostruzione teorica e pratica del nostro essere nel mondo” (p. 320). Per fare ciò occorre, secondo Vigorelli, abbandonare le interpretazioni nichiliste della Weltanschauung leopardiana scoprendo i tratti teorici più originali del pensiero di Leopardi, ovvero quelli di una filosofia del sentire orientata ad “una cura dell’anima e ricerca di una felicità minore […] una saggezza di vita in grado di afferrare una occasionale felicità” (pp. 13-14).

L’impianto materialista e le connotazioni scettiche del pensiero leopardiano non vanno ovviamente negati, ma non vanno neanche tradotti in una interpretazione ontologizzante della filosofia leopardiana. Una tale interpretazione ci restituirebbe infatti un Leopardi che semplicemente si abbandona al sentimento del nulla. Invece, spiega Vigorelli, la consapevolezza del nulla non è l’ultima meta teorica del sistema zibaldoniano, giacché Leopardi, di fronte all’ “arido vero” è capace di compiere un passo indietro per incanalare la sua lucida visione in un percorso di cura di sé in cui la filosofia si fa “prezioso tetrafarmaco” (p. 14), “protrettico alla virtù e al discorso civile” (p. 125), “illuminismo pratico” (p. 202). Detto in altro modo, di fronte alla contraddizione tra esistenza e vita, tra l’esserci fattuale e il vissuto del desiderio, Leopardi

sulla base di concreti vissuti estetici  e poetici” interroga “lo statuto antropologico dei concetti formali mediante cui siamo soliti declinare il nesso natura-cultura [… ] in vista di una educazione sentimentale dell’umanità civile e di una pratica ricostruzione di quello spazio comunicativo-dialogico che solo consente l’agire libero dell’individuo e la sua, per quanto effimera, ricerca di autorealizzazione e felicità (pp. 221-222).

Vigorelli intende dunque ricostruire la filosofia pratica leopardiana con una doppia intenzione, quella di recuperarne la specificità teorica restituendo così Leopardi al suo tempo, e quella di comunicarne la sofferta saggezza al tempo presente, il nostro, mostrandone la contemporaneità, senza per questo compiacersi in attualizzazioni forzate o appropriazioni indebite.

Nella ricostruzione di Vigorelli, la filosofia pratica proposta da Leopardi si impernia su una teoria degli affetti che riunisce sentimento ed intelletto nella nozione cardine di immaginazione, sorgente di entrambi. Siamo di fronte ad una riattivazione della gnoseologia sensistica e materialistica che, identificando ragione ed affettività, assegna “alla Stimmung sentimentale un ruolo non meramente vicario e concomitante ma di effettiva apertura ontica alla sfera del conoscibile e dell’esperibile” (p. 231). Ecco quindi il riferimento a varie pagine zibaldoniane dedicate a tale convergenza tra razionalità ed affettività.

Quella in cui Leopardi evoca l’esistenza di un sentimento della verità, il quale deve necessariamente sovrapporsi all’intellezione affinché oltre a comprendere un significato si possa intendere che esso è vero (cf. Z 348), in un “processo di avvicinamento indiretto alla verità che dovrà passare attraverso la lente del sentimento” (p. 233).

Quelle in cui Leopardi cerca le analogie tra creazione poetica, intuizione filosofica e ipotesi scientifica, attribuendo immaginazione, sentimento, forti passioni e senso del bello ai grandi filosofi (cf. Z 1833) e postulando l’esistenza di una facoltà immaginativa razionale che rivela allo scienziato i rapporti tra il tutto e le parti (cf. Z 1836). In ciò, spiega Vigorelli, Leopardi “matura la consapevolezza dell’unità sistematica dell’operare razionale [… e] l’immaginazione, senza smarrire il nesso germinativo con il sensibile, non si differenzia in modo sostanziale dall’intelletto, divenendone pressoché un sinonimo” (p. 278).

Infine, le pagine in cui Leopardi parla della visione geniale del poeta, del filosofo e dell’uomo di grande sentimento, che intuiscono molte cose in un solo colpo d’occhio e come da un luogo alto pur rimanendo pienamente capaci di comunicarle agli altri in modo chiaro e distinto (cf. Z 3269-71). Lungi dal cadere nella mistica dell’ineffabile, precisa Vigorelli, Leopardi propone qui “una comprensione larga e non irrigidita del processo razionale, sempre inteso nella sua relazione con la parallela dinamica degli affetti da cui esso scaturisce” (p. 236).

La gnoseologia così ricostruita da Vigorelli costituisce il fondamento di quell’educazione sentimentale che genera la particolare saggezza prospettata da Leopardi. Malgrado la consapevolezza del nulla, l’uomo leopardiano si discosta non solo dal nichilismo, come già accennato, ma anche dal pessimismo ascetico di Schopenhauer, che è “quanto di più distante si possa immaginare dallo spirito volteriano di Leopardi” (p. 103). Contrariamente al filosofo tedesco, Leopardi cerca una “via praticabile di salvezza nel mondo, anziché fuori dal mondo” (ivi). Tale via è consentita proprio dalla sintonia tra affetti e ragione, che permette “un savio recupero della innocenza infantile, delle risorse auto-felicitanti che la vivacità dell’immaginazione fanciullesca e poetica consente e mette a disposizione anche dell’uomo maturo” (p. 14). Ecco quindi che in tutta l’opera di Leopardi “l’antica pratica della cura di sé si rinnova nei contenuti e si traveste di molteplici figurazioni di inesauribile applicazione e novità” (p. 217).

Vigorelli ci offre una dettagliata panoramica di tale “trasfigurazione ludico-estetica” (p. 40) – e, aggiungiamo, esistenziale – del vero metafisico negli scritti di Leopardi, dai poemi alle Operette morali allo Zibaldone, soffermandosi anche in modo particolarmente interessante sui suoi frammenti autobiografici. L’autobiografismo di Leopardi è certo “l’aspetto che più direttamente collega Leopardi alle pratiche letterarie del moderno Romanticismo […] ma è anche la modalità originale in cui il Leopardi filosofo applica a se stesso l’esercizio della conoscenza morale, della cura di sé, attinta dai modelli classici” (p. 202). Continua Vigorelli: “l’autobiografia diventa per lui problema filosofico, volontà di sapere e aspirazione ad una radicale conoscenza di sé, sforzo di oggettivazione e universalizzazione della solipsistica esperienza soggettiva [… che si risolve] in una sapiente arte della memoria” (p. 205). L’attivazione della memoria non riveste dunque un ruolo esclusivamente estetico in Leopardi nella trasfigurazione poetica della vita in canto, ma si arricchisce di una colorazione etica nella costituzione di un “deposito felicitante” (p. 206) da cui attingere una sempre più profonda e matura coscienza di sé.

Il modello dell’itinerario pedagogico-morale proposto da Leopardi è Teofrasto, di cui troviamo nello Zibaldone un ritratto idealizzato come unico filosofo dell’antichità ad avere avuto piena coscienza dell’infelicità inevitabile della natura umana e della vulnerabilità del saggio di fronte alla fortuna, contrariamente all’idea stoica di una felicità possibile solo se interiore (cf. Z 316-318). Teofrasto, che conosce la vanità delle illusioni ma non le rinnega, a cui la malinconia non impedisce di attivarsi due volte per liberare la patria (cf. Z 325) è per Leopardi, secondo la lettura di Vigorelli “il modello (attuale per la sua inattualità) di una sensibilità e suscettibilità del cuore umano, capace di persuadere all’azione, senza rinunciare alla consapevolezza della verità, ma operando un passo indietro – in funzione prassica – di fronte alle conseguenze antivitali e mortificanti dell’arido vero moderno” (p. 135). Tale archetipo di filosofo attivo è però alieno da accenti eroico-progressisti, precisa Vigorelli, prendendo le distanze dalle letture più vigorosamente “politiche” proposte nel Dopoguerra da critici leopardiani di appartenenza socialista-marxista.

Con questa immagine chiudiamo la presentazione del saggio di Amedeo Vigorelli che in definitiva, pur essendo una rassegna accurata e ricchissima degli scritti di Leopardi, non si presenta tanto come un’opera di critica leopardiana quanto come un saggio di storiografia morale. L’autore stesso tiene a definirsi nell’epilogo “semplice lettore di Leopardi e storico della filosofia” (p. 323) prendendo le distanze dall’“erudizione dei leopardisti” (p. 320) e rivolgendosi piuttosto al mondo della ricerca filosofica nell’intento di proporle nuovi spunti. In quest’ottica la riflessione di Leopardi si presenta come una filosofia del sentire in equilibrio tra patire e agire, “tra finitudine naturale e slancio vitale in(de)finito del desiderio” (p. 13). Pur affermando il carattere aperto del discorso leopardiano di fronte alla “insolubilità teorica del problema pratico della vita” (p. 324), Vigorelli rintraccia in esso la possibilità di una felicità parziale da costruirsi laboriosamente, riportando lo sguardo dall’esteriorità all’interiorità, verso il proprio centro, alla scoperta di sé. È dunque nell’invito a “portare pazientemente la vita, a coltivare [la pazienza,] la più difficile e rara tra le virtù dell’uomo socializzato” (p. 320) che Leopardi ha ancora molto da dire al mondo contemporaneo.

Pour aller plus loin

Pour citer cette ressource :

Agnese Pignataro, "Amedeo Vigorelli, «La “pazienza” di Giacomo Leopardi. Agire e patire: analisi del sistema dello Zibaldone» (2019)", La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), septembre 2020. Consulté le 02/11/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/bibliotheque/amedeo-vigorelli-la-pazienza-di-giacomo-leopardi-agire-e-patire-analisi-del-sistema-dello-zibaldone-2019