Il "Consiglio Superiore della Lingua Italiana" - 1
Le ragioni del sì e quelle del no
Massimo Arcangeli
Il disegno di legge n. 993
Si deve al Presidente della prima Commissione Affari Costituzionali del Senato durante il secondo governo Berlusconi, il senatore di Forza Italia Andrea Pastore, la proposta di istituzione di un Consiglio Superiore della Lingua Italiana (CSLI), presentata il 21 dicembre 2001 ma mai approdata in aula. Il responsabile tecnico-scientifico del progetto di CSLI era Lucio D'Arcangelo, già allievo di Giuliano Bonfante, autore di un recente volume che ha suscitato reazioni contrastanti e il cui titolo suona inequivocabile: Difesa dell'italiano. Lingua e identità nazionale (Roma, Ideazione 2003). Nella versione iniziale di quel disegno di legge (n. 993), firmato da numerosi esponenti del governo guidato dal Cavaliere (nessuno dei quali, però, linguista di professione), si stabiliva che a presiedere il CSLI dovesse essere il Presidente del Consiglio dei ministri e a parteciparvi il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro per i beni e le attività culturali, un Segretario "con compiti di indirizzo", nominato dal Presidente, "due membri designati in rappresentanza dell'Accademia della Crusca e della Società Dante Alighieri" e ancora, eventualmente, "non più di due membri designati in rappresentanza dei comitati scientifici nell'ambito dello stesso CSLI". Del progetto, come vedremo, esiste anche una seconda versione: una versione che, politicamente parlando, ci sembra però complicare anziché semplificare le cose.
Le ragioni del legislatore (I): i punti a favore
Il senatore Pastore, nella relazione di commento che accompagnava il lancio della sua proposta, affermava che la lingua è "un bene sociale, che va difeso dall'infiltrazione di tutte quelle espressioni incongrue e disorientanti per i più, che non provengono unicamente dall'adozione indiscriminata di parole straniere, ma anche da neologismi incomprensibili ed accentuazioni vernacolari". Salvo precisare, subito dopo, che la difesa di quelle "accentuazioni" non doveva avvenire a scapito delle "dinamiche linguistiche regionali"; da salvaguardarsi, però, a patto di non rappresentare una minaccia, con spinte centrifughe o fughe in avanti, all''unità garantita dal modello linguistico nazionale. Gli altri punti degni di nota di quella relazione mi parevano allora, e mi sembrano ancora oggi, sostanzialmente tre:
Sui primi due punti, sui quali non avrei molto da obiettare, non mi soffermo; vorrei sviluppare invece qualche breve riflessione sull'ultimo. Che l'italiano, in questi ultimi tempi, non appaia proprio godere di una salute di ferro è giudizio di molti; così come è giudizio di molti che in determinati settori la sua qualità lasci alquanto a desiderare. È il caso della pubblica amministrazione per esempio, dove appare chiaro, e la cosa non è sfuggita al senatore Pastore, come la nostra lingua ha tutt'altro che smesso di soffrire delle incursioni di un burocratese che si è inutilmente creduto i vari interventi in materia da parte di diversi ministri (Cassese, Bassanini, Frattini), illudendoci con la promessa di una rivoluzione copernicana in materia di lingua della pubblica amministrazione, potessero definitivamente sradicare dall'uso. Un burocratese che continua quindi a fare da apripista al malvezzo nostrano di condire di inutili tecnicismi e di inzuppare nell'ipertrofia sintattico-argomentativa i testi che il legislatore destina ai cittadini, generando così, osserva Pastore, un vero e proprio smarrimento:
Naturalmente, continua il senatore, non sono a loro volta esenti da responsabilità, a causa della cattiva qualità dell'italiano di cui si servono, coloro che parlano dal mezzo televisivo:
Per quanto, andrà detto, anche l'inglese della vecchia Inghilterra non sia certamente più il nobile inglese oxfordiano di un tempo, mi dichiaro sostanzialmente d'accordo anche su questo aspetto sollevato dal promotore del disegno di legge: un organismo come il CSLI, tutto sommato, non nuocerebbe alla nostra lingua e potrebbe anzi incidere positivamente sulle sue future sorti. In questi ultimi anni, peraltro, le alzate di scudi nella nostra vecchia Europa contro la presenza ingombrante dell'inglese, talvolta accettato passivamente o in modo del tutto immotivato, non si contano. Per una Corte Europea di Giustizia che, nel settembre del 2001, lo ha ammesso sulle etichette dei prodotti circolanti all'interno dell'Unione Europea e una Facoltà di Medicina di Oslo che nel dicembre del 2000 lo ha introdotto, al posto del norvegese, come lingua obbligatoria nella comunicazione tra docenti e studenti[1], c'è un Consiglio Linguistico Svedese (Svenska Språknämnden) che, nel gennaio dello stesso 2001, ne ha documentato gli effetti negativi sulla lingua nazionale, chiedendo di proteggerla. Senza contare che perfino l'Europa orientale si sta ormai decisamente ergendo a difesa delle relative lingue nazionali: nel febbraio del 2002, per esempio, l'Ungheria (dove le insegne in inglese, a Budapest ma anche in altre città, hanno ormai abbondantemente superato il livello di guardia) ha approvato una legge che rende obbligatorio l'uso dell'ungherese nella pubblica amministrazione; e nel marzo dello stesso anno, in Russia, il ministro dell'Educazione Vladimir Filippov annunciava, per il maggio successivo, la discussione di una legge per proteggere il russo dallo storico nemico d'un tempo. Anche nel nostro Paese non sono certo mancate le iniziative a difesa della lingua nazionale delle quali il CSLI non è che una delle tante manifestazioni, pure la più importante e discussa fra tutte quelle di cui sarebbe possibile parlare. Nel 2000, a un anno di distanza dall'approvazione del disegno di legge a tutela delle minoranze linguistiche. presentato dall'allora sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone, e proprio mentre la legge che stabiliva l'indispensabilità della conoscenza della lingua inglese per la partecipazione ai concorsi pubblici diveniva operativa, il Presidente della Camera, Luciano Violante, si faceva promotore del manifesto ideato a difesa dell'italiano dall'associazione "La bella lingua", nata dall'adesione di parlamentari di vari orientamenti politici. E Marcello Veneziani, quando era consigliere d'amministrazione RAI, facendo tesoro di un altro manifesto (promosso, stavolta, dall'Accademia degli Incamminati), ha fatto approvare all'unanimità dal Consiglio un invito al Direttore generale a mettere in cantiere uno studio di fattibilità al fine di tradurre in italiano alcune sigle in lingua inglese diffuse dall'azienda televisiva pubblica (Rai corporation, Rai educational, Rai fiction, Rai international, Rai news, Rai trade, Rai way). Il partito dei paladini dell'italiano mostra insomma di essere stato, da un po' di anni a questa parte, un partito trasversale. Del resto, parliamoci chiaro, quando si tratti di tutelarlo dall'eccessiva invadenza dell'inglese mi pare si sia un po' tutti d'accordo. Soprattutto quando si è di fronte a una testimonianza del genere (ricavata dal sito www.italiasociale.org, di proprietà di Stefano Vernole):
Si tratta, come è facile immaginare, di una delle tante offerte promozionali che le varie catene di supermercati propongono alla loro clientela, desiderosa di riempire di bollini d'acquisto le apposite tessere (ormai però, per lo più, in formato card: Carta Insieme, Carta Club, etc.) per poter ottenere alla fine il tanto sospirato regalo. In casi del genere, mi pare, tentare una difesa della lingua nazionale non sarebbe un'idea poi così peregrina. Non è che muoia dalla voglia di chiedere a Francesco Alberoni il sostegno di una citazione; devo però riconoscere che ha senz'altro colto nel segno quando ha sostenuto tempo fa, sul "Corriere della Sera" (13 dicembre 1999):
Dare ragione ad Alberoni non vuol dire però dare una volta tanto torto a Gramsci. In questi ultimi anni la questione della lingua è tornata ad essere una questione forte, assai più forte di quanto non sia stata negli ultimi decenni. Cosa che proprio a Gramsci sarebbe parsa sospetta. Il fatto che essa riemerga (a maggior ragione, dunque, se in questa riemersione finisce per assumere toni assai accesi) è secondo Gramsci il chiaro indizio della "necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare nazionale". Il problema, in questo senso, diviene allora un problema essenzialmente politico. E che si tratti di un problema essenzialmente politico, tanto più in tempi, come quelli attuali, di verticalizzazione dei conflitti, è ormai chiaro anche al mondo accademico; sicché, come fa giustamente notare Anna Rosa Guerriero: non è forse solo una coincidenza il fatto che, all'interno della Società di Linguistica Italiana, stia prendendo forma un Gruppo di Osservazione, Studio e Intervento per la Politica Linguistica (GISPL) che, preso atto dell'"importanza della cultura linguistica nel contesto sociale" e dell'"esigenza di specifici interventi esperti", dichiara, fra l'altro, nel suo Programma di Intenti, di volersi occupare di "tutti gli ambiti di incontro, sovrapposizione e contiguità fra pratiche linguistiche e pratiche sociali a forte rilevanza politica [...][2].
Pour citer cette ressource :
Massimo Arcangeli, "Il "Consiglio Superiore della Lingua Italiana" - 1", La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), septembre 2008. Consulté le 07/09/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/langue/litalien-langue-nationale/il-consiglio-superiore-della-lingua-italiana-1