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Hermes Grappi (Marco)

Par Maurizia Morini : Lectrice d'italien MAE et historienne - ENS de Lyon
Publié par Damien Prévost le 09/02/2008

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I) Giovane partigiano

Il 25 luglio del 1943, quando c'è stato il crollo del fascismo, avevo 18 anni; ero impiegato-fattorino al Consorzio Agrario e ricordo che sono uscito dal lavoro e sono andato alle manifestazioni che si facevano lungo le strade e davanti alle carceri per chiedere la liberazione dei detenuti politici. Ci illudevamo che fosse la fine delle sofferenze, io ero uno dei tanti che credeva di uscire da un incubo e non immaginava di entrare in una tragedia. Dalla violenza dei fatti fui posto di fronte a scelte di impegno politico e di lotta dura e rischiosa.

I miei sentimenti antifascisti derivavano dal fatto che mio nonno era socialista prampoliniano incallito; mio padre, operaio, non è mai stato iscritto al partito fascista, è sempre stato antifascista. E nello sfascio generale di quel periodo, fui avvicinato da un caro amico che mi disse : "Sai, noi vorremmo fare qualcosa, sei disposto a stare con noi, ci sono vari gruppi, i badogliani, i socialisti." Io indicai senza reticenza i comunisti, volevo stare con i comunisti perché da ragazzo abitava vicino a noi un'ottima persona, un antifascista, era la persona più buona, più docile, più cortese, indicato da tutti come comunista ed era, poveretto, continuamente perseguitato picchiato, incarcerato; mi suscitava solidarietà e anche commozione, e mi dicevo, istintivamente, questi sono quelli che sono più contro il regime fascista.

Da quel momento iniziò la mia collaborazione, abbiamo aiutato , dopo l'8 settembre, i soldati che fuggivano e poi si formarono in montagna i primi gruppi partigiani.

Nel novembre del '43 aderii al PCI clandestino che mi coinvolse nell'organizzazione dei primi Gruppi difesa della donna e successivamente nella direzione provinciale del Fronte della Gioventù clandestino; in seguito in azioni partigiane, inquadrato nella 76° Brigata S.A.P.(squadre d' azione patriottica) con il nome di Marco.

Facemmo alcune azioni: danneggiamento delle linee telefoniche, taglio dei fili della luce, andavamo ad attaccare manifestini durante la notte e poi a prendere armi a casa di fascisti che sapevamo essere armati, inoltre facevamo recupero, anche forzoso, di vettovagliamento e vestiario per le formazioni partigiane in montagna.

Furono molte le notti che non dormii nel mio letto, tante le paure, le ansie e l'immenso dolore per la perdita di tanti cari giovani compagni, a cui, per il loro eroico silenzio, malgrado le barbare torture subite, debbo anch'io la mia sopravvivenza.

II) Un'azione beffa

Voglio ricordare un evento accaduto ai primi di dicembre del '44, un'ardita beffa a carico dei nazisti nella notte fra il 16 e il 17 dicembre, in quel tempo la popolazione reggiana era afflitta dalla guerra, da lutti e privazioni, la città era stata bombardata e le rappresaglie nazifasciste erano feroci. Alla fine del '44 la presenza dei tedeschi in città era consistente, inasprita dalla crudeltà delle brigate nere. Gli alleati erano ancora fermi sulla Linea Gotica, si avvicinava il quinto Natale di guerra in una situazione di minacce e privazioni. Ammetto di non possedere parole per far rivivere quel tempo cupo e tragico.

In quei giorni il comando della Terza zona S.A.P. era venuto a conoscenza del proposito dei tedeschi di impossessarsi di circa 3000 forme di formaggio grana reggiano e decise di impedirlo e predispose rapidamente un'operazione audace e rischiosa per l'impiego di uomini e mezzi.

Ricordo benissimo la vicenda essendone stato partecipe e dunque testimone diretto. Poco dopo l'inizio del coprifuoco, dopo le 19, mascherato, con una rivoltella mi sono recato in una piccola autorimessa per sequestrare un camioncino appartenente ad un negoziante. Vagamente parevo Zorro, perché la maschera mi era stata appositamente confezionata dalla mia fidanzata, esperta sarta.

Con i compagni ci avviammo per avviare il mezzo, con difficoltà, quando apparve inaspettata una colonna di piccoli blindati dell'esercito tedesco che procedeva silenziosa verso nord e il cui unico segno di vita erano piccole finestrelle illuminate per i conducenti. In questa situazione inattesa cercavamo solo di apparire degli imbranati che non erano capaci di far funzionare un vecchio catorcio.

Dopo tanto armeggiare e imprecare, il camioncino, che aveva una portata di dodici quindici quintali, si mise in moto e a fari spenti, per evitare il pericolo degli aerei alleati, procedemmo verso Barco ove nei magazzini Locatelli prelevammo il formaggio che sistemammo provvisoriamente nella casa di un contadino fidato e da lì in seguito il formaggio sarebbe stato portato alle formazioni partigiane in montagna.

Uno di noi stava in cabina con il conduttore e gli altri due a turno, all'esterno seduti sul carico; viaggiavamo attenti ad ogni piccolo rumore o ombra, silenziosi, non parlavamo e procedevamo su strade secondarie poco abitate. Sembravamo dei ladri e tali ci saremmo spacciati se fossimo incappati in una pattuglia nemica.

Io francamente, avevo paura, ero un ragazzo di 19 anni, però mantenni una calma apparente.

Durante i numerosi viaggi incrociavamo birocci, carrette e anche biciclette che trasportavano il formaggio e vedemmo anche partigiani sappisti che provvedevano a porre, sbrigativamente, forme di formaggio di fronte a porte, sotto anditi, dentro a cortili, affinché al mattino, al termine del coprifuoco, coloro che vi abitavamo trovassero un inaspettato regalo per le prossime feste natalizie.

Realmente, il lavoro della squadra a cui appartenevo fu duro e sporco, con il carico e scarico delle forme del peso di 30 kg; mangiammo solo, in dieci ore di vigoroso lavoro, alcune scaglie di grana con conseguente arsura; finito il prelevamento io mi recai a casa e un compagno restituì il camioncino su cui, per ricompensa del disturbo, avevamo lasciato alcune forme di formaggio

Vissi nei giorni successivi momenti di gioia, però consapevole che l'azione a cui avevo partecipato costituiva un piccolo e minore evento nell'ambito di una più estesa e sanguinosa lotta. Assaporai la fierezza e l'orgoglio di aver dato il mio modestissimo contributo al successo di una beffa ai danni del crucco invasore.

In definitiva, i vari reparti della 3° zona avevano precedentemente sabotato le linee telefoniche, per interrompere ogni collegamento fra le forze nazifasciste, circondato il presidio della Guardia Repubblicana di Cavriago, al fine di attaccare la pattuglia qualora uscisse e piantonato le strade d'accesso ai paesi della zona e con 5 automezzi e 8 carri avevano prelevato circa 2500 forme di formaggio; 500 di queste destinate ai gruppi partigiani dislocati in montagna, le altre alla popolazione della zona insieme alle carni di due buoi macellati nella stessa notte.

Si può considerare straordinario il fatto che nonostante la mobilitazione di molti partigiani e di rumorosi mezzi di trasporto, malgrado la durata dell'azione di circa 10 ore e benché l'azione abbia interessato alcuni comuni, tutto si è svolto senza che la struttura militare nazifascista presente, attiva e minacciosa sul territorio, si sia accorta di nulla.

III) Fra gli studenti

Come ho detto il partito mi aveva affidato il lavoro del Fronte della Gioventù che si caratterizzava come personalità politica, ma l'impegno dei nostri giovani era quello delle formazioni partigiane esistenti. Non avevamo una formazione partigiana del FDG, noi dicevamo ai giovani di aderire alla lotta clandestina, quindi entravano nelle formazioni garibaldine e sappiste. Facevamo tante cose ma almeno voglio ricordare un'iniziativa molto importante e che ebbe un grande successo e un grande clamore: organizzammo una fuoriuscita degli studenti in occasione della manifestazione che le donne fecero il 13 aprile 1945 (era la giornata insurrezionale). La organizzammo andando in tutte le scuole, in tutte le aule, aprivamo le porte e gridavamo: "Uscite, uscite, andiamo a manifestare contro il fascismo, abbasso i tedeschi. Così!"

La giornata ebbe successo, la maggior parte degli studenti uscì e una parte se ne andò nelle strade discutendo, colegandosi con le donne che erano tante. Poi dimostrò la forza del movimento partigiano che arrivava proprio nel cuore dell'allora potere militare, perché le azioni che si potevano fare in città erano solamente azioni ardite. Uscirono e in quella vicenda noi perdemmo un bravissimo compagno di 19 anni, Marcello Bigliardi, che fu portato alla Caserma, si suppone seviziato, e ucciso nella giornata stessa. Lui non parlò e l'organizzazione non ebbe conseguenze.

IV) L'amore del nonno

Infine non potrò mai dimenticare che il giorno precedente la liberazione dal nazifascismo, mio nonno miracolosamente, mi salvò la vita.

Avevamo la convinzione che il grosso della Wehrmacht si fosse già ritirato verso il Po, purtroppo non era così e la presenza di consistenti colonne di tedeschi costrinse le formazioni partigiane a sganciarsi; io con due compagni avevo preparato un manifesto da stampare e affiggere in concomitanza appunto, dell'arrivo delle forze di liberazione. Con il testo del manifesto nascosto nel tacco del sandalo, fui costretto a rifugiarmi a casa del nonno nelle campagne, per la forte presenza in zona dei tedeschi che bloccavano le strade per Reggio.

Stanco, mi buttai su un letto e mi addormentai ma poco dopo fui svegliato dalle grida delle cugine che mi avvisavano perché i tedeschi erano già entrati in casa e spossati e affamati avevano trasformato in un bivacco tutte le stanze e la stalla; scappai velocemente e mi inoltrai nel buio dei campi, accucciandomi in un fossato. Improvvisamente dietro alle mie spalle iniziò un attacco disordinato delle formazioni partigiane in direzione e contro le truppe tedesche acquartierate nel casolare del nonno.

Non potevo rimanere all'aperto, ebbi momenti di sconforto e paura, confidai nel nonno e decisi di ritornare, mettendomi sulle spalle una paratoia di legno per i fossi di irrigazione e tentai di camuffarmi come un contadino al lavoro. Non appena giunto nei pressi della casa udii le urla del crucco che gridava: "Alarm, Alarm" che non coprivano però la voce del nonno che tentava di testimoniare la mia appartenenza alla famiglia contadina.

Fui agguantato da due militari, con la punta della canna del fucile alla schiena e la mano del nonno che mi stringeva la destra, fui portato davanti ad un gruppo di ufficiali tedeschi seduti attorno ad un tavolo. Vi fu un rapido scambio fra i miei carcerieri e gli ufficiali, non compresi nulla tranne varie volte il termine Bandit

Ritenevano che, come tradusse un ufficiale che parlava malamente italiano, appartenessi alle bande partigiane da cui erano stati attaccati.

Non riesco oggi a verbalizzare le mie emozioni di quei drammatici momenti; ero attonito, come estraneo e inconsapevolmente rassegnato; non così mio nonno: il vecchio Manfredi con parole semplici, spontanee iniziò la mia difesa sostenendo che anch'io ero un contadino, membro della famiglia, che proprio quella notte, disgraziatamente, ero stato incaricato di recarmi nei campi per regolare l'irrigazione dei campi e riuscì a far breccia. Gli ufficiali tedeschi lo avevano ascoltato in silenzio e con attenzione e suppongo che, più che le parole, abbiano colto nell'espressione dei suoi occhi tutto l'amore per il nipote e comunicarono che data la notte inoltrata avrebbero proceduto alla fucilazione con le prime luci dell alba. Fui condotto, sorvegliato, in uno sgabuzzino; ero depresso, impotente, mi sentivo come uno dei tanti compagni uccisi. Giunse presto l'alba e mi avvidi che il mio carceriere, insieme agli altri tedeschi, era sparito.

Salutai, abbracciai tutti, strinsi forte il nonno, mi avviai verso Reggio alla tipografia, con altri giovani procedemmo alla stampa del manifesto del FDG che annunciava la liberazione; in città non vi era corrente elettrica, fummo costretti a far funzionare la rotativa con la forza delle braccia, uno sforzo enorme, usciva un manifesto ogni minuto. Non appena ottenevamo le prime copie, altri giovani provvedevano ad affiggerle per le vie della città; nello stesso momento dell'arrivo dei primi partigiani.

Noi con il manifestino che annunciava la liberazione della città, uscimmo direi in alcune parti, prima ancora di quello del CLN (Comitato di liberazione nazionale). Quello del CLN era autorevole, grande ma il nostro, piccolo, in alcuni quartieri della città era uscito per primo.

Era il pomeriggio del 24 aprile 1945.

V) Il 25 aprile

E venne finalmente il giorno della Liberazione. Il giorno in cui arrivarono i partigiani, io non sapevo a chi rivolgermi, perché non è che ci si era dato un appuntamento, perciò io andai in Prefettura, che allora era come la conquista del Palazzo d'Inverno: presidiato da tutte le formazioni partigiane, armati su per le scale, gli uffici occupati ed era una scena veramente bella. Lì convogliavano tutte le autorità e io non sapevo a chi rivolgermi, io che ero del FDG, in quel momento fummo snobbati, io non pretendevo ma ero preoccupato di continuare subito questa presenza, questa azione.

Del resto si sparava acora nella strada: c'erano dei cecchini fascisti sulla chiesa di fronte alla Prefettura; uscirono subito delle formazioni partigiane e una jeep con sopra ufficiali inglesi e i cecchini furono individuati immediatamente.

La successiva presa di posizione del FDG era relativa al bisogno dei giovani di esprimersi, di uscire da quella camicia di forza che gli aveva messo il fascismo. Uscimmo con manifesti che lanciavano questo slogan: "Giovani, ragazze, le sedi dell'ex GIL (Gioventù italiana littorio), le sale da ballo, i luoghi del divertimento sono vostri, prendeteli!" Suscitò una polemica enorme, poiché vi era già il sindaco, il prefetto e l'AMG, il comando alleato. Questo manifesto fu il primo atto politico di presenza legale e suscitò un pandemonio perché il Comando alleato si recò immediatamente dal prefetto dicendo che era un atto illegale, di appropriazione indebita. Quindi ci fu una lunga discussione e una critca, ovviamente, da parte del CLN.

C'era proprio l'atteggiamento paternalistico tipico dei vecchi socialisti, meno ma anche nel nostro partito, in fondo per le donne e per i giovani; ci dicevano: "Voi siete bravi ragazzi, adesso però lasciate fare a noi, facciamo noi". Quindi come contributo e considerazione, il parere dei giovani era molto relativo.

In seguito abbiamo cominciato a svolgere la nostra attività e a stampare "Riscossa giovanile"; le nostre parole d'ordine erano sempre per la libertà, per la pace, per l'indipendenza nazionale.

Hermes Grappi è nato a Reggio Emilia nel 1925, da famiglia operaia socialista e antifascista. Ha partecipato al lavoro di costruzione e di organizzazione dei Gruppi difesa donna e del Fronte della gioventùdalla primavera dal 1944 diventa partigiano combattente nella 76° Brigata SAP. (Squadra di Azione Patriottica).
Dopo la Liberazione è funzionario del Fronte della Gioventùpoi diventa segretario provinciale della Federazione Giovanile ComunistaNel 1953 è inviato da Enrico Berlinguer, segretario nazionale della FGCI., a Bucarest come rappresentante italiano presso il Comitato promotore del Festival mondiale della gioventù e successivamente a Budapest come rappresentante permanente presso la Federazione mondiale della gioventùNel 1958 lascia l'attività di funzionario e lavora in aziende private, fino al pensionamento come dirigente di una grossa ditta di Bologna.
Ha ricoperto il ruolo di Amministratore presso l'Ente Regionale di Valorizzazione del Territorio (ERVET) e in alcune banche.

A cura di Maurizia Morini

 

Pour citer cette ressource :

Maurizia Morini, Hermes Grappi (Marco), La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), février 2008. Consulté le 23/11/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/xxe-xxie/fascisme-et-seconde-guerre-mondiale/hermes-grappi-marco