Ladri di biciclette
«Stia tranquillo, non ci vorrà molto».
Da buon piemontese si rivolge a me con un rigido "Lei" di cortesia: tiene le distanze. Al tavolo di un caffè di piazza, in una piccola città del nord, orario di mercato: si discute i furti di biciclette, il signor Giovanni è persona di mondo e se ne intende.
«C'è meno attenzione, sa: la gente ci bada meno, mi creda. Non è più il tempo in cui se ti rubano la bicicletta perdi il lavoro».
Sobrio, discretissimo sfoggio di cultura: non c'è neppure bisogno di citare esplicitamente De Sica, fra gente di mondo ci si capisce. Del resto Giovanni ha l'età per ricordare il film e forse, frugando nell'infanzia, anche il trio Lescano che cantava "Ma dove vai bellezza in bicicletta". Sorride con contenuta soddisfazione:
«Certo, c'è molto più traffico, ci sono più bici in giro: un po' la crisi, un po' la moda, un po' il fatto che oggi i comuni promuovono l'uso, c'è quella cosa...».
«Byke sharing?».
«Quello. Ma perché in inglese?».
«Boh?».
Un momento di silenzio, poi riprende:
«E dove c'è più traffico c'è più mercato, aumenta la domanda. E quindi aumentano i furti».
Eccome se aumentano: secondo i dati dei blog specializzati il 18% dell'intero parco bici circolante è composto da veicoli rubati: uno su cinque. Nelle grandi città una media di 25 furti al giorno, molti di più in provincia dove il mezzo è più usato e la viabilità più amichevole con chi pedala. Non c'è ciclista che non abbia subito un furto, e non c'è Comune che non provi a correre ai ripari promuovendo iniziative come la punzonatura del telaio, la richiesta di un pubblico registro nazionale simile al Pra, l'istituzione di siti on line su cui rintracciare le bici rubate dopo averle fotografate. Giovanni ridacchia:
«Può darsi che serva, ma mi creda: gli acquirenti non mancano e non sono solo i mercatini, ma anche le aste on line; piazzare le due ruote è facilissimo: è la domanda che tira il mercato».
Si chiacchiera, stiamo certamente per parlare della civiltà dell'auto e della civica resistenza a pedali, ma il signor Giovanni mi tocca il braccio:
«Guardi quello lì».
Un uomo con un giaccone pesante sta legando la sua bici accanto alle altre lasciate a ridosso di una delle transenne che proteggono il marciapiede.
«Non dica che non mantengo le promesse».
«Come "le promesse?"»
Pochi secondi e l'uomo con il giaccone si allontana pedalando, tutto normale. Il signor Giovanni però mi fa notare che la bici del ladro - perché di questo si tratta - è ancora lì, alla catena. Mi ha distratto con un trucco da prestigiatore: non ho visto praticamente nulla, la mia retina non ha fermato un solo movimento sospetto. Giovanni mi spiega con pazienza la tecnica:
«Roba da mercato, piccoli volumi, una o due bici al massimo a giornata. Viene con la sua bici, la tronchesina sotto il giubbone. La sua la lega accanto a quella che ha scelto, poi un colpo di tronchesina e se ne va tranquillo sulla bici rubata ».
«Un colpo solo?»
«Chiaramente ha individuato la catena più debole: ce ne sono di ogni tipo, ma mi creda: quella sicura al cento per cento non esiste. Ci sono quei tubi a U che vanno di moda adesso...». «Archi rigidi» «Quelli» (Come dire: "la smette di interrompermi?") «Sono duri per una tronchesina. Ma lì il punto debole è la serratura, si apre con il cacciavite. Pensi che all'inizio bastava una penna bic, che ha la stessa pianta esagonale delle prime serrature. Con l'esperienza ti fai l'occhio sulla durezza della catena. Ah si rilassi, non pensi a denunce: non tornerà per un bel po' a riprendersi la sua, non è mica scemo».
Ora il mercato smonta, è quasi sera, Giovanni offre un bicchiere di vino: «Farà nebbia». A lui piace la nebbia, e non per ragioni professionali: semplice romanticismo. Gli ricorda l'infanzia padana, storie di ragazze e biciclette:
«Prendevamo dei bei freddi, va'. Per andare a ballare. Adesso si prende a lavorare, il gelo».
Stanotte lavora, credo. Va in giro con un furgone, al buio. Punta una città di provincia non troppo lontana da quella dove vive. Stanotte ha scelto Pavia.
«Ma è solo una direzione: mentre vado, giro i paesi sulla strada. Se trovo lavoro prima chiudo lì e torno indietro».
Ha una certa età. Come i suoi colleghi più famosi e sfortunati: "Nonnofurto", alias Francesco Cameriere, 74 anni arrestato a Roma, o il pensionato 71enne preso a Grosseto.
«Sa per noi non c'è pensione. Ho scelto questo lavoro perché non è faticoso. E anche se non ti fa ricco permette di sopravvivere. E dà meno problemi: niente numeri di telaio, niente libretto di circolazione».
La sua piazza di vendita è Torino, dove come in ogni città ormai il mercato non è molto alla luce del sole e i ricettatori non piazzano più la merce direttamente al pubblico di Porta Palazzo. Ma lui ha le sue passioni:
«Mi piace battere la Liguria, ho una passione, ma anche Vercelli, la Lombardia. Poi adoro Saluzzo, Cuneo. Fossano. Ah Arona! Bellissima!».
Non lavora nelle grandi città:
«Lì il tasso di delinquenza è alto e la gente si protegge di più. Nelle piccole trovi porte più facili da aprire. E poi lì girano più soldi, la merce è pregiata».
Non usa attrezzature particolari, diciamo che non investe:
«Il valore della merce è relativo. Conta la quantità. Se raccogli 10-15 bici in una notte allora è bonanza. Ma in media nei fai da tre a cinque».
Individua un sobborgo adatto - «Palazzine nuove, non grandi, giardini condominiali, non troppo in centro» - e posteggia il furgone. Scende a dare un'occhiata alle serrature:
«Non porto gli attrezzi. Non è che girare con i ferri da scasso sia il massimo della prudenza...».
Quando si è fatto un'idea torna a prendere gli arnesi e apre quasi a colpo sicuro:
«Se gira bene basta l'androne con quelle belle rastrelliere. Ma poi ci sono le cantine e lì non prendo solo le bici. Ci sono delle precedenze: per esempio la carne vale di più. È una meraviglia quando trovo un freezer: se riesco porto via tutto. C'è chi lascia lo champagne al fresco e ci sono bar e ristoranti che usano le cantine condominiali come magazzino. Chiaro che una così e hai fatto la serata».
Prende solo le bici nuove, le più pregiate:
«Mountain Byke, da corsa, ma le più richieste sono quelle eleganti da uomo con i freni a bacchetta».
«Non quelle da corsa?»
«Non quelle pregiate: una volta mi è capitato. Più una disgrazia che altro. Provo a portarla a un pensionato che chiamavamo "Bartali", un patito. Quello la esamina e mi fa: "Se sai a chi darla prendi quel che ti offrono perché questa non la vendi mai più". Pensavo volesse truffarmi, ma aveva ragione: chi compra quelle bici, robafatta a mano su misura, non lo fa al mercato nero. L'ho data via otto mesi dopo per 60 euro. Un disastro)».
«Non vende più su piazza?»
«No. Ci sono i ricettatori. Non è che forzano il mercato: è libero, nessuno ti costringe. Ma se servono "pochi, maledetti e subito", loro te li garantiscono. Capito? Poi loro fanno la vagonata e portano la roba lontano, a Sud. Hanno i loro canali e corrono un rischio grande: sanno chi fornisce la merce ma non sanno da dove viene, devono cambiare piazza».
«Ho sentito anche all'estero»
«Può darsi, a me non risulta, non lo escludo, anche se i colleghi che conosco sono tutti italiani e lavorare per uno straniero significa guadagnare poco. Ma non pensi a organizzazioni, eh? Voi giornalisti cercate sempre qualche mafia, anche dietro alle patatine. Ma l'organizzazione costa, ci sono settori che rendono di più. Sa qual è il massimo dell'organizzazione?»
«Mi dica.»
«Che qualche volta tiro sul furgone qualche collega che non ha i mezzi, magari se trovo un palazzo che non posso fare da solo. E alla fine si litiga sui prezzi di vendita. Sempre. Ecco, questo è il massimo dell'organizzazione. Beh almeno dividiamo le spese».
«Benzina, manutenzione, ferri...»
«e le decalcomanie: sa quelle che mette chi ti vende la bici. La rendono rintracciabile. Io le faccio fare o le chiedo ai ciclisti in varie città e le sovrappongo. Bisogna far sparire anche ogni traccia di scasso: se al ritorno mi fermano i carabinieri dico che sono stato a un mercatino dell'usato (dove non fanno ricevuta!). Il rischio c'è perché è buona regola rubare fuori provincia, perché le vittime poi cercano nel capoluogo e a volte ti pinzano: uno di Alba mi ha preso. Io pensavo che avrebbe cercato a Cuneo, invece quello era furbo e mi ferma a Porta Palazzo: "Quella bici è di mio figlio, rubata ieri, così e cosà". Provo a fare il furbo: "L'ho appena comprata, ho dato 50 euro, vuoi mica che ci rimetta?" Ma era uno sveglio: "Io posso farti rimettere molto di più". Mai più ad Alba, mi creda».
Si fa tardi, deve andare.
«Aspetti Giovanni, come ha iniziato?»
«Ah, ai tempi del treno. Ho imparato da un amico che lavorava nelle cantine come me, ma spediva la merce in treno, allora costava poco. Io dovevo aspettare alla stazione con i tagliandi, ritirare, vendere e mandargli i soldi. Lui stava sempre in giro. Guadagnava tanto e io poco. Il salto è stato quando mi venuta l'idea del furgone e mi sono messo in proprio. Adesso ho una piccola azienda, me la cavo».
Si incupisce un poco,
«Sa, per noi non c'è pensione, non c'è ministro che si commuove...».
«Ma a voi la crisi conviene, vero, signor Giovanni?»
«Ah beh, con quel che costano i carburanti. Sa che quando ho sentito di nuovo la parola "Austerity" son tornato giovane? Stia bene, neh?».
Si congeda, va via a passi lenti, per una sera ha dato spettacolo, non voglio augurargli buon lavoro, ma forse buona fortuna sì.
Pour citer cette ressource :
Luca Rastello, Ladri di biciclette, La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), novembre 2012. Consulté le 20/11/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/xxe-xxie/ladri-di-biciclette