Casa Cervi: una famiglia tra storia e memoria
1. La casa
I Cervi vivevano nella casa ai Campi Rossi di Gattatico, nella media pianura reggiana, dal 1934: una famiglia contadina numerosa, straordinariamente unita, ben radicata nelle campagne reggiane. La famiglia era giunta nella zona verso la metà del secolo XIX. Proveniva da un altro comune reggiano, Rubiera. Per questo i Cervi ebbero come soprannome, in dialetto, "i Rubàn". Avevano preso in affitto un grande podere: cinquantatré biolche di terra, più di venti ettari, potendo contare sull'apporto delle proprie braccia. Alcide Cervi e Genoeffa Cocconi avevano messo al mondo nove figli (sette maschi e due femmine) e la successione dei matrimoni aveva arricchito la famiglia di nuove figure. Erano in ventidue nel 1943. E vivevano in pieno accordo, senza memoria di un solo litigio.
I sette fratelli vennero fucilati al poligono di tiro di Reggio Emilia, il 28 dicembre 1943, insieme al loro compagno Quarto Camurri. Avevano resistito al fuoco dei fascisti sparando dalle finestre, ma si erano arresi; avevano donne e bambini; i fascisti avevano incendiato il fienile e minacciavano di incendiare tutta la casa. Li avevano messi in fila a mani alzate contro un muro della casa, poi li avevano portati a Reggio: non avevano avuto il coraggio di passarli subito per le armi, si rendevano conta che sarebbe stato inammissibile, disumano.
È racchiusa intorno a queste terre la vicenda dei Cervi, che avevano via via associato al lavoro un preciso impegno di lotta.
2. Radici cristiane e fede socialista
La famiglia Cervi aveva radici cristiane. La giustizia sociale appariva al giovane Alcide - già iscritto negli anni Venti al Partito Popolare, fondato nel 1919 da don Sturzo - come una risposta o un bisogno da non trascurare. Nelle veglie invernali, con la famiglia riunita in cucina o nella stalla, mamma Genoeffa, profondamente devota, leggeva ad alta voce brani della Bibbia. I figli militavano nelle associazioni cattoliche. La predicazione prampoliniana aveva poi preparato Alcide ad un salto di versante; il mito dell'Unione sovietica farà il resto.
Nessun segno, ancora, di una nuova militanza, ma non mancano, invece, quelle di una sicura svolta negli orientamenti. Il reggiano, è, del resto, terra di cooperazione, di organizzazione politico-sociale nelle campagne e di emancipazione civile e culturale. Fervono gli incontri, le discussioni e, negli anni del fascismo, i riferimenti ai profili di un futuro sempre più vicino. Circolano i libri come non è mai sinora accaduto, e se ne parla, si traggono conclusioni. Aldo, soldato nel 1929, subisce un'ingiusta condanna. I due anni di carcere saranno la sua "università": conosce gli antifascisti, resta affascinato dalle loro idee, dal coraggio con cui le sostengono. Quando torna a casa, nel 1932, coinvolge nella nuova prospettiva ideale l'intera famiglia. Con alcuni dei fratelli contribuisce al sorgere di una cellula clandestina comunista e a dar vita a una piccola biblioteca popolare, con romanzi di London e di Gorki, scritti di Labriola e di Lombroso. È la scoperta di un nuovo versante della cultura. E i fascisti cominciano a rendersi conto del diramarsi di forme d'opposizione da tenere sono vigilanza e da reprimere. I Cervi vengono ammoniti dalle autorità; uno dei loro compagni, Didimo Ferrari, nel 1934 viene condannato a cinque anni di confino.
3. Contadini di scienza
L'attesa di un mutamento sociale complessivo si accompagna, nella famiglia Cervi, ad un impegno immediato per il miglioramento della propria condizione, secondo uno spirito che possiamo ben definire di "imprenditorialità contadina". Ecco il salto da mezzadri ad affittuari, ecco il passaggio del podere di Valle Re a quello dei Campi Rossi. Il mondo appare adesso ai Cervi sotto una luce diversa. Si impegnano a fondo nel lavoro e non trascurano la ricerca di tecnologie in grado di migliorarne la resa. Hanno un podere di terre sicuramente fertili, ma sconnesse, cosparse di buche e di ristagni d'acqua. Si danno da fare per appianare i dislivelli e consentirne, al meglio, l'irrigazione; riescono a ritoccare in aumento i livelli produttivi e ad incrementare l'allevamento del bestiame e la produzione di latte. Nessuno di loro patisce la fame. Sono protagonisti di una sorta di scalata sociale verso una condizione finalmente più libera. Leggono persino La Riforma sociale, una rivista diretta da Luigi Einaudi, dalla quale traggono spunti operativi. Conoscono gli studi e i consigli delle cattedre ambulanti d'agricoltura, conquistano diplomi, possiedono numerosi opuscoli, da "contadini di scienza", per l'appunto, come erano diventati.
Nel 1939, la famiglia prende una decisione importante. Aldo (che tutti chiamavano "Gino") viene incaricato di andare a Reggio per comprare un piccolo trattore Balilla, tra i primi che si vedessero nella zona. "Quando comparve sulla strada polverosa - narrerà il vecchio Cervi - alla guida del trattore, reggeva in pugno un meraviglioso globo", un mappamondo, il simbolo di un campo enigmatico di espansione della conoscenza.
4. Opposizione alla guerra e Resistenza
Con la dichiarazione di Mussolini del 6 giugno 1940, il fascismo trascina l'Italia in guerra; gli antifascisti, sottoposti a rigidi controlli, ricominciano, tra mille difficoltà, a raccogliere le forze. Fin dal '40 i Cervi si trovano in prima fila contro la guerra e nel prestare aiuto ai compagni incarcerati. Ed ecco l'abbattimento di un traliccio elettrico, la produzione e la diffusione di volantini, la raccolta di fondi per il Soccorso rosso, il boicottaggio degli ammassi nascondendo ingegnosamente parte dei loro prodotti. Gelindo e Ferdinando vengono per questo incarcerati nel '42.
È in questa fase che avviene l'incontro coi Sarzi, e con Lucia in primo luogo, funzionaria del Partito Comunista clandestino. I Sarzi sono teatranti viaggianti attivi su una vasta fascia territoriale, in grado di tenere collegamenti, di sfuggire a molti controlli, di spostarsi tra un paese e l'altro e di smistare corrispondenza e materiale di propaganda. Dopo l'8 settembre 1943 la casa dei Cervi divenne un luogo d'accoglienza per prigionieri di guerra fuggiti dal campo di concentramento di Fossoli o dalla forzosa aggregazione a reparti germanici. Nel giro di poco più di due mesi un'ottantina di persone saranno ospitate e nutrite, per periodi più o meno lunghi, nella casa ai Campi Rossi: inglesi, sudafricani, russi.
Con la costituzione della Repubblica di Salò al servizio degli occupanti nazisti, i Cervi si gettarono con coerenza nella lotta armata. Con l'ex confinato politico Otello Sarzi, fratello di Lucia, più qualche compaesano e alcuni degli ex prigionieri di guerra di varie nazionalità loro ospiti, attuano disarmi di presidi militari fascisti per procurarsi armi e munizioni. Le loro azioni vogliono anche essere, come ricorda Otello Sarzi, un segnale forte per far sì che altri li seguano nella lotta aperta contro gli occupanti nazisti ed i fascisti rispuntati al loro servizio. E per accelerare la fine di una guerra che ha portato rovine e distruzioni in tutti i continenti.
Salgono anche in montagna, dove vengono accolti da don Pasquino Borghi. Nella sua canonica di Tapignola, in comune di Villaminozzo, don Pasquino ospita a sua volta ex prigionieri in transito, li aiuta a passare le linee per raggiungere il sud già liberato. Verrà arrestato da militi fascisti il 21 gennaio 1944 e fucilato nove giorni dopo, assieme ad altri otto patrioti. La lotta al fascismo diventava di giorno in giorno un fatto internazionale, un'alleanza di popoli e nazioni, un incontro solidale tra uomini e donne di diverse fedi religiose e politiche uniti nell'aspirazione alla libertà. Era un nuovo concetto di Patria che andava nascendo, entro un orizzonte aperto alle donne e agli uomini di tutta la terra.
5. La crudele rappresaglia
Nella notte del 25 novembre 1943 la casa dei Cervi è circondata da militi fascisti che sparano verso le finestre e incendiano il rustico.
Nel fienile ci sono sei rifugiati: Dante Castellucci, due russi (uno, Anatoli Tarassov, racconterà anni dopo la vicenda in un libro autobiografico), due sudafricani e un irlandese. In casa c'è anche un altro rifugiato, il giovane Quarto Camurri, che ha disertato dall'esercito fascista. Donne e bambini, alcuni dei quali in tenera età, bruscamente strappati dai loro letti, vengono brutalmente spinti, nel freddo, lungo la strada per Campegine. "I bambini erano tutti piccoli; la più grande, Maria, aveva nove anni. - racconterà Ines Bigi, moglie di Agostino - Camminavano piano, piangevano, tutti seminudi perché li abbiamo alzati con quella camicina o quel pigiamino che avevano addosso". Trovano ospitalità nella casa di una vicina che si oppone coraggiosamente ai militi intenzionati a far proseguire il dolente corteo.
I sette fratelli, arrestati insieme al vecchio padre e a Quarto Camurri, vengono portati in carcere a Reggio. Gli stranieri sono condotti a Parma, compreso Castellucci che, avendo a lungo vissuto in Francia, si fa passare per francese. La casa viene saccheggiata. All'alba del 28 dicembre i sette fratelli e Quarto Camurri vengono prelevati dal carcere e condotti alla fucilazione. Il vecchio Alcide avrebbe voltuto restare con i suoi figli. Ma glielo impedirono. Fu un brutale atto di rappresaglia per l'attentato del giorno precedente al segretario comunale di Bagnolo. Papà Cervi, ancora trattenuto nel carcere di San Tommaso, ignora il tragico evento. Ai suoi compagni di detenzione parla di timori e speranze. Come un antico profeta biblico, secondo la narrazione dello scrittore Arrigo Benedetti, suo compagno di cella, pronunciò anche queste parole: "Perché io vi dico, che questi muri cadranno e i tormentatori del popolo prenderanno il posto dei tormentati."
L'8 gennaio 1944, in effetti, bombe angloamericane esplosero anche in prossimità del carcere, e i muri davvero caddero. Caddero anche sul cimitero di Villa Ospizio, e le salme di tre dei sette fratelli furono sbalzate fuori dalle loro tombe. Molti prigionieri, tra cui Alcide, in seguito al bombardamento, ebbero modo di fuggire.
Così papà Cervi poté tornare al podere dei Campi Rossi, dalla moglie, dalle vedove e dagli undici nipoti. Una famiglia di cui era rimasto, all'eta di 68 anni, l'unico maschio a potersene occupare. Ma da subito ebbe l'aiuto di Massimo, figlio del fratello Pietro. "Il cugino Massimo" rimarrà poi per sempre nella famiglia e sposerà una delle vedove, Ines. Non si ebbe subito il coraggio di informare Alcide dell'avvenuta fucilazione dei figli. Glielo dissero solo dopo alcune settimane e avrebbe voluto esser morto con loro: "... avevo sette figli, cresciuti con quarant'anni di fatiche... mi hanno mietuto una generazione di maschi. Avevo sette figli e sette me ne hanno presi", detterà a Renato Nicolai per I miei sette figIi. Non gli era stato facile scuotersi di dosso l'angoscia. Ma pensò, e disse, "Dopo un raccolto ne viene un altro. Andiamo avanti."
6. La memoria
Quello dei sette fratelli divenne da subito un nome simbolo della Resistenza. Due distaccamenti garibaldini operanti sull'Appennino portarono, rispettivamente, il loro nome e quello di don Pasquino Borghi. I sette fratelli ed il prete partigiano, uniti dalla morte in uno stesso luogo e per la stessa causa, furono insieme assunti dalla memoria dei partigiani.
Anche seguendo il loro esempio la lotta popolare contro il nazifascismo assunse caratteri di massa nel reggiano.
Decine di case contadine divennero basi ospitali e sicure per i partigiani: le "case del nostro rifugio", ha scritto uno di loro. E proprio quella pianura reggiana che aveva visto operare, come contadini di scienza e come patrioti, i sette fratelli, nell'estate '44 si trasfomò in un territorio quanto mai insicuro per fascisti e tedeschi attaccati dai distaccamenti dei SAP e dei GAP. Intanto sulle montagne crescevano in entità ed efficienza le brigate garibaldine. Anche la casa dei Cervi, nonostante la tragedia vissuta dalla famiglia, poté di nuovo essere punto di riferimento per la Resistenza. Ma anche, di nuovo, oggetto di feroce attenzione da parte di squadre fasciste che nella giornata del 14 ottobre 1944 tentarono ancora vigliaccamente di incendiarla. Per mamma Genoeffa fu il rinnovarsi di una profonda angoscia. Si mise a letto senza più riprendersi. Morì poco più di un mese dopo, il 15 novembre 1944.
Grande fu l'emozione dei reggiani nell'ottobre 1945, quando le salme dei sette fratelli furono esumate dall'originaria sepoltura e traslate, con funerali solenni, al cimitero di Campegine. Anche il vecchio Alcide ebbe la forza di prendere la parola tra i vari oratori. Parlò dal balcone del Municipio: "Non chiedo vendetta, ma giustizia", disse con voce ferma; e concluse ripetendo la frase diventata famosa: "Dopo un raccolto ne viene un altro".
Avec l'aimable autorisation de l'Istituto Alcide Cervi, Gattatico (Reggio Emilia)
Pour citer cette ressource :
Franco Boiardi, Antonio Zambonelli, Casa Cervi: una famiglia tra storia e memoria, La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), décembre 2008. Consulté le 28/11/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/xxe-xxie/fascisme-et-seconde-guerre-mondiale/casa-cervi-una-famiglia-tra-storia-e-memoria