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L'Italia in musica - Prima parte: Le origini, dall’Ottocento alla Grande Guerra

Par Cesare Grazioli : Historien - Istituto storico per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Reggio Emilia (ISTORECO), Laboratorio nazionale di didattica della storia (LANDIS)
Publié par Damien Prévost le 08/07/2012

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Prima parte dell'articolo "L'Italia in musica".
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La cultura italiana, di cui anche la musica è espressione, si caratterizza per il suo policentrismo, – dovuto soprattutto al fatto che il nostro Paese è pervenuto tardi all’unificazione politica, e molto più tardi a quella linguistica; essa si caratterizza inoltre per la distanza tra la lingua e la cultura “alta”, di élite, e le lingue e culture popolari, espresse dai dialetti locali, regionali e cittadini.

Non può sorprendere perciò che alle origini della canzone italiana ci siano tre filoni molto diversi: 1. Il melodramma; 2. Le canzoni dialettali (soprattutto napoletane); 3. I canti politici e sociali.

Tre filoni diversissimi ma, come vedremo, con sorprendenti contaminazioni e influenze reciproche.

1.1) Il melodramma

220px-enrico-caruso-de-769-tail-_1341761415344.jpgIl melodramma (l’opera lirica), nato in Italia nel Settecento, toccò le sue vette nell’Ottocento, quando le sue “romanze” e “arie” più celebri erano popolarissime, anche perché in quell’epoca (senza cinema radio e TV) si andava a teatro molto più di oggi. A fine Ottocento comparvero anche le “romanze da salotto” per pianoforte e voce, scritte da celebri compositori, ed esse contribuirono a diffondere nei salotti borghesi il gusto aristocratico del concerto in casa. All’inizio del Novecento, l’invenzione del grammofono e del disco in vinile (il 78 giri, fino al secondo dopoguerra, quando subentrarono i 33 e i 45 giri) permise di incidere quelle romanze e canzoni, e diede fama internazionale a grandi tenori: il napoletano Enrico Caruso nel primo ventennio del Novecento (che come sentiremo interpretò anche la canzone napoletana); poi il marchigiano Beniamino Gigli, suo “erede” dagli anni '20 ai '40 (vedi nella seconda parte).

Enrico Caruso

Esempi riportati:

Caruso canta Va Pensiero
Caruso canta La donna è mobile
Caruso canta E lucean le stelle
Caruso canta Santa Lucia

A fine Ottocento, alla grande tradizione dell’Opera si aggiunse una sua versione più “leggera” e frivola, l’Operetta (nata nel 1858 in Francia con l’Orfeo all’inferno di Jacques Offenbach, che lanciò lo… scandaloso ballo del can can), una delle espressioni culturali più tipiche della Belle Epoque.

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Lina Cavallieri Cleo de Merode

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La bella Otero

Sempre durante la Belle Epoque (fine '800-1914) si affermò anche un nuovo genere di spettacolo, il caffè-concerto, sulle orme del francese cafè-chantant. Il primo fu il Salone Margherita a Napoli, con tavolini, poltrone e un pittoresco palcoscenico sul quale si alternavano attrazioni diverse:  danza, canzoni, numeri comici. Era il regno dei “fini dicitori” (cosiddetti per il loro stile, fatto di  eleganza affettata, monocolo, voce in falsetto) e delle “sciantose” (le cantanti, dal francese chanteuse), che furono le prime dive, portatrici di una immagine fatale, peccaminosa, quasi postribolare di bellezza femminile, come le famose Cleo de Merode, Lina Cavalieri,“la bella Otero”.

Al caffè-concerto subentrò poi, a ridosso della Grande Guerra, il teatro di varietà, fatto di satira, canzoni, balli, giocolieri e spogliarelliste, sulle orme della spregiudicata Parigi del Moulin Rouge e delle Folies Bergères.

Esempi riportati:

È scabroso le donne studiar
'A frangesa
Ciribiribin

1.2) La canzone dialettale

La canzone dialettale aveva origini antichissime nelle diverse città e regioni, ma tra tutte quella napoletana era di gran lunga la più prestigiosa, con un suo festival già dal 1839, a Piedigrotta (in occasione dell’inaugurazione della prima ferrovia in Italia, la Napoli-Portici). Nata nel Settecento in forma di serenata o di ‘villanella’ (canzone agreste), assorbì la tradizione della tarantella, danza di origine pugliese dal ritmo vorticoso (da ‘tarantolati’, appunto) accompagnata da nacchere e tamburelli, e vide il passaggio dalla canzone popolare alla canzone d’amore con Te voglio bene assaje (1839: la prima d’autore noto, Raffaele Sacco), il cui testo fu stampato in ben 180.000 copie! Seguirono Santa Lucia (1848) e tante altre, soprattutto dagli anni ’80 alla Prima Guerra Mondiale, come ‘A cammesella (1875, destinata ad accompagnare molti spogliarelli nei caffè-concerto), Oilì Oilà, ‘A vucchella (con testo di Gabriele D’Annunzio), Funiculì funiculà (1880), Era de maggio, Marechiare (1885), ‘O sole mio (1898), I’te vurria vasa’, Torna a Suriento, Ninì Tirabusciò, ‘O surdato ‘nnamurato (1915), Reginella (1917). Molte di queste vennero composte da tre autori eccezionali: Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio e A.E. Mario (pseudonimo di Giovanni Gaeta).

Esempi riportati:

Te voglio bene assaje
Santa Lucia
‘A cammesella
Funiculì funiculà
‘O sole mio
‘O surdato ‘nnamurato
Reginella

Fino alla Grande Guerra, la grande fama canora dell’Italia – considerata il Paese dei mandolini e del bel canto – si identificò con la canzone napoletana, diffusa anche dai milioni di emigranti, e valorizzata dalla voce inconfondibile di Enrico Caruso.

Però ogni regione aveva sue tradizioni di balli e di canti dialettali: tradizioni particolarmente ricche erano quella romana (con un suo festival, a San Giovanni, dal 1891), in forma di ‘sonetti’ e ‘stornelli’, spesso serenate, e quella milanese e lombarda; ma anche altre, ad esempio quella siciliana dei cantastorie da Ciuri ciuri (1883), a Vitti ‘na crozza (1950)

Esempi riportati:

Ciuri ciuri
Vitti ‘na crozza

In Romagna, nacque allora la tradizione della musica per il “ballo liscio”, che reinterpretava musiche ballabili di origine viennese e mitteleuropea: valzer, polke e mazurke.

1.3) La canzone politico-sociale

La canzone politico-sociale nacque in un italiano aulico e letterario, come canzone patriottica durante le guerre del Risorgimento tali L’inno degli italiani (1847), musicato da Michele Novaro e composto  da Goffredo Mameli, che morì a difesa della repubblica romana nel 1849, e la famosa Addio mia bella addio (1848); e nel 1859 l’Inno a Garibaldi di Luigi Mercatini; ma anche con tono e linguaggio popolare come La bella Gigogin (1859) del milanese Paolo Giorza.

Esempi riportati:

L’inno degli italiani
Addio mia bella addio
Inno a Garibaldi
La bella Gigogin

E si sviluppò in diverse direzioni:

- i canti popolari dell’emigrazione, che accompagnarono con dolore, a volte con rabbia, il dramma dell’esodo di ben 20 milioni di italiani, soprattutto verso le Americhe, dagli anni ’80 alla Prima Guerra Mondiale.

Esempi riportati:

Italia mostrati gentile
Mamma mia dammi cento lire

- i canti del lavoro, in italiano o in dialetto: da quello intitolato alla paludosa (e malarica) Maremma toscana a quello degli scariolanti, che bonificarono le paludi del Po, e quelli delle mondine emiliane e lombarde nelle risaie piemontesi.

Esempi riportati:

Maremma amara
Gli Scariolanti
Sciur padrun da li beli braghi bianchi
Sebben che siamo donne
Quando saremo a Reggio Emilia

- i canti rivoluzionari, di tradizione  socialista o anarchica, che alternavano i toni dolenti, per l’oppressione subita come lavoratori sfruttati, alla fierezza di una “coscienza di classe” antagonista come l'Inno dei lavoratori, composto nel 1886 dal giovane Filippo Turati, futuro leader socialista; L’Internazionale, e Bandiera rossa, composte a inizio Novecento in versione socialista, ed entrambe reinterpretate poi, dagli anni ’20, anche in versione comunista;  Addio Lugano bella, composta in carcere dall’anarchico Pietro Gori a fine Ottocento

Esempi riportati:

Inno dei lavoratori
Internazionale
Bandiera rossa
Addio Lugano bella

- i moltissimi canti della Grande Guerra o di intento celebrativo come La campana di San Giusto (1915), e soprattutto La leggenda del Piave, scritta dal grande compositore napoletano E.A. Mario nel 1918, di immediata ed enorme popolarità  o quelli di protesta nati in trincea come Gorizia tu sia maledetta (1916) e Tapum.

Esempi riportati:

La campana di San Giusto
La leggenda del Piave
Gorizia tu sia maledetta
Tapum

- intrecciato a quest’ultimo filone, c’era quello dei moltissimi canti corali alpini e di montagna.

Esempi riportati:

Quel mazzolin di fiori
Era una notte che pioveva

- grandissimo successo ebbe anche una canzone politica di esplicito significato nazionalista, scritta in occasione della guerra di Libia, nel 1910 : A Tripoli!, lanciata dall’avvenente stella dell’operetta Gea della Garisenda, che si presentò sul palco avvolta in una bandiera tricolore.

A Tripoli! è solo uno dei tanti esempi di contaminazione tra filoni e generi diversi: in questo caso, tra canzone politica, operetta e caffè-concerto, ma in altri casi tra canzoni sociali e politiche e tradizioni dialettali locali; o tra la canzone napoletana, spesso interpretata da grandi tenori come Caruso, e la lirica.  Proprio una canzone napoletana risalente a metà Ottocento, Santa Lucia (vedi sopra), è da molti considerata la prima vera e propria canzone italiana, perché scritta in un italiano letterario ma un po’ meno aulico, e con la tipica struttura basata su strofe e ritornello.

Resta il fatto che quasi tutte le grandi canzoni, i grandi autori sia di testi che di musiche, e i/le grandi interpreti appartenevano, fino alla Grande Guerra, alla tradizione napoletana.

Esempi riportati:

A tripoli!

 

Pour citer cette ressource :

Cesare Grazioli, "L'Italia in musica - Prima parte: Le origini, dall’Ottocento alla Grande Guerra", La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), juillet 2012. Consulté le 28/03/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/arts/musique/l-italia-in-musica-prima-parte-le-origini-dall-ottocento-alla-grande-guerra