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Mi ricordo...

Publié par Damien Prévost le 16/01/2008

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La testimonianza che segue è, tutto sommato, la storia straordinaria di un uomo normale, le sue vicende affondano le radici negli anni del fascismo, della seconda guerra mondiale, nella ricostruzione personale e sociale del dopoguerra. La narrazione inizia da un momento cruciale: l'arrivo della cartolina precetto e la conseguente partenza per il fronte di guerra in Albania, ma si intrecciano frammenti di ricordi che precedono e seguono quel periodo a segnare anni di una generazione "che non ha conosciuto la giovinezza."

La testimonianza che segue è, tutto sommato, la storia straordinaria di un uomo normale, le sue vicende affondano le radici negli anni del fascismo, della seconda guerra mondiale, nella ricostruzione personale e sociale del dopoguerra.

La narrazione inizia da un momento cruciale: l'arrivo della cartolina precetto e la conseguente partenza per il fronte di guerra in Albania, ma si intrecciano frammenti di ricordi che precedono e seguono quel periodo a segnare anni di una generazione "che non ha conosciuto la giovinezza."

La povertà

Stavo lavorando in macello ed è arrivata la cartolina, ho smesso. Non ero per niente contento. Avevo iniziato a lavorare da ragazzo a quattordici quindici anni senza essere in regola, mi davano una pancetta, un pezzo di carne, qualcosa, la portavo a casa perché ne avevamo bisogno; la mia era una famiglia numerosa.

Non andavo nei campi estivi giovanili propagandati dal fascio e per punirmi hanno spaventato i miei familiari, mi hanno portato nella sezione del partito fascista e mi hanno fatto bere l'olio di ricino. Mi gridavano che loro erano coraggiosi, sarebbero andati a combattere in Russia e avrebbero portato a casa la pelle di un russo comunista.

La gente e anche noi, non avendo studio, non sapevamo cosa volesse dire Russia ma io e altri come me, fin da ragazzi lavoravamo dalla mattina alla sera, in famiglia eravamo mezzadri.

Mussolini ci aveva fatto credere che l'Italia era stretta, aveva bisogno di terreni, in questo modo ci volevano convincere a fare una guerra di conquista.

Soldato al fronte

Il 4 febbraio siamo partiti, io e altri tre amici, ci hanno assegnato alla Fanteria motorizzata Trento, ci hanno vestito con la divisa militare. Il colonnello cercava un soldato-attendente e mi sono presentato, lui mi ha fatto osservazione per i capelli lunghi ma ero pulito e ordinato e mi ha scelto mandandomi a casa da sua moglie e dal figlio. Dicevano che ero un bel ragazzo, mi hanno tenuto per le pulizie di casa, per far camminare un cane, per quello che c'era da fare, fino a quando dopo pochi mesi siamo partiti per Perugia, e sono stato aggregato al Distretto Militare.

In seguito ho raggiunto il generale Gatti, al seguito del Capo delle forze armate in Albania, Cavallero; sono partito con la tradotta militare da Udine, ho fatto in treno per 27 giorni i Balcani. Di notte ci fermavamo perché c'erano i partigiani del posto.

Arrivato a Tirana, ho preso servizio come porta-ordini , mi ricordo bene era il marzo 1941, era venuto in visita Mussolini e gli hanno mitragliato l'apparecchio a Tirana. Erano spie che c'erano già in giro. Ricordo ancora che hanno attentao al re, Vittorio Emanuele III, mentre girava in macchina per Tirana già conquistata da tedeschi e italiani.

Questo borghese che ha attentato al re è stato preso e impiccato, c'ero anch'io, insieme ad altri a vedere. E il fatto rientrava nella guerra, eravamo un po' agitati, perchè si andava a casa d'altri e noi volevamo vincere, avevamo l'amor di patria.

Ma sono stati i tedeschi perchè noi come militari non eravamo troppo d'accordo.

I nostri rapporti con la popolazione non erano male, diverso era per i fascisti e i tedeschi che distruggevano tutto, ammazzavano senza badare a donne e bambini che, per esempio, si affacciavano alla finestra.

Le Brigate nere in certe zone requisivano tutto, frumento e altro, scarpe e calze, tolte agli albanesi e tenute da loro, perché il mangiare e il resto scarseggiavano e loro ne approfittavano.

Un'altra cosa che non ho detto è quando, dopo la capitolazione della Iugoslavia, ad opera dei tedeschi, siamo andati a prendere l'oro e l'argento che avevano dentro i pozzi rasor dove buttavano la gente e lì l'oro era nascosto in cassette di 50 kg e l'argento era in stecche di 30 cm. Il Comando italiano sapeva che c'era ed è stato caricato su tre apparechi, arrivati dall'Italia, con scorta della Finanaza, abbiamo saputo che un aereo è stato deviato su Malta e poi in Inghilterra. Due sono arrivati in Italia.

La differenza con le Brigate nere

Noi militari giravamo in Albania, in Grecia tranquilli, invece le camicie nere no.

C'erano i partigiani locali che li prendevano e tagliavano i testicoli.

Le Brigate nere erano considerate come i tedeschi che, comunque erano terribili, erano lì tutti i momenti con le moto, spuntavano dappertutto. Ci consideravano poco, e anche dopo l'otto settembre volevano che ci arrendessimo; il mio generale non capiva, avevano combattuto insieme in Russia.

Noi italiani capivamo, durante la guerra, che andavamo contro l'impossibile, perché per tenere una città ci voleva una divisione, non si poteva tenere testa a tanti partigiani, il nemico era dietro la casa, la siepe, dovunque.

La guerra è stata criminalità, i tedeschi e le Brigate nere ne hanno fatte troppe; entravano nelle case, rubavano, ammazzavano i bambini, guai a chi si rivoltava; noi non eravamo così, eravamo più mansueti, poi quella gente non aveva niente, viveva di pomodori. In Grecia e in Albania lavoravano solo le donne, gli uomini fumavano al tavolino tutto il giorno e una cosa che impressionava alla sera, erano i musulmani che cantavano dalle torri, fra di noi c'era chi diceva che adoravano il sole!

I contatti con i familiari

Di quel periodo ho frammenti di ricordi, perché quando si sta così male si pensa solo ad uscirne, inoltre a quei tempi si studiava solo fino alla quarta, quinta elementare. Si andava a lavorare presto, io mi considero anche fortunato, avendo tanti fratelli; la mia ultima sorella è nata quando ero a militare, mi hanno spedito il giornale che era nata la Romana.

I contatti con la famiglia c'erano, qualche lettera arrivava, lì in Albania avevo imparato a scrivere a macchina, ho voluto tranquillizzare la mia famiglia facendo vedere che avevo migliorato; essendo il figlio più vecchio ero la punta della famiglia.

L'attività bellica

Avrei dovuto partire per la campagna di Russia, sono arrivato fino in Moldavia ma per problemi di cuore mi hanno fatto "meno atto" alle fatiche di guerra e mi hanno rimandato indietro in Grecia.

Siamo stati anche nelle isole Ionie, a Santa Maura, Corfù, Cefalonia, giravo in moto nei vari comandi, portavo ordini. Ero aggregato al generale, andavo con lui, anche di notte, si partiva verso il fronte, ho visto che degradava degli ufficiali. Ricordo che il generale Peloso comandava gli italiani e aveva sposato una donna greca. Noi avevamo dei buoni rapporti con i greci, si cercava di parlare con loro, nella zona del canale di Corinto gli abbiamo dato del nostro formaggio. Ho ben presente nella memoria: con due ragazze e un altro siamo andati al mare, mi buttavo dall'alto, a Cefalonia, speravo di rompermi un braccio, da altezze enormi, avevo un grande coraggio, volevo tornare a casa, ma niente da fare!

Anche la quotidianità era faticosa, da mangiare non c'era molto, le gallette erano dure e i denti sono saltati quasi tutti.

I fascisti e i tedeschi erano diversi da noi, guerrafondai, andavano, ammazzavano, distruggevano tutto...

L'otto settembre a Cefalonia

Quella sera eravamo fuori, in un campo al cinema, era settembre e abbiamo saputo della capitolazione.

In quel periodo non stavo bene, avevo delle febbri di malaria e mi hanno mandato in un ospedale da campo, stavo malissimo con le febbri. Lì a Cefalonia eravamo tutti uniti e la nostra divisione aveva viveri per due mesi e poteva attaccare i tedeschi, abbiamo cercato di metterci in comunicazione con gli inglesi e gli americani che erano in mare e in Sicilia.

Loro ci hanno risposto, lo ricordo bene come se fosse adesso, di attaccare al mattino alle cinque e di buttare a mare i tedeschi perché sarebbero arrivati loro come rinforzo. Invece sono sbarcati due reggimenti di artiglieria tedesca e finché ci trovavano, ci massacravano. Gli inglesi e gli americani non hanno mantenuto quello che avevano promesso e ci hanno tradito, se loro venivano noi eravamo liberi e saremmo venuti in aiuto all'interno dell'Italia, invece ci hanno lasciato massacrare.

Gli inglesi erano terribili, ricordo che in precedenza, passavano con un aereo con la mitraglia e noi eravamo sotto, sapevano che la contraerea tedesca non c'era.

La paura

Io ero da tempo in ospedale e quando sono sbarcati i tedeschi pensavo che morire lì o a casa era uguale, la vita era finita per me; eravamo tutti rassegnati. Ho visto scene terribili, quando i greci cercavano di rubare le assi dal campo, per fare legna, i tedeschi con i mitra li hanno massacrati tutti e - ricordo - mi sono voltato e ho visto quella gente che moriva.

Invece, finiti i combattimenti e annientati gli italiani, è venuta la Croce Rossa Internazionale e ci ha raccolti, ci ha portati verso Missolungi e Patrasso per inviarci in seguito verso l'interno, essendo noi già considerati prigionieri dei tedeschi . Dovevamo andare verso Tebe e Atene, se andavo in quei campi di raccolta sarei morto, stavo male.

Arrivati a Patrasso, tutti malridotti, ci dividevano fra malarici, considerati normali e ammalati di tifo, infettivi. Lì si decideva... nella mia cartella clinica sono riuscito di nascosto a scrivere tifo, mi hanno visto con la febbre altissima, denutrito, una coperta sulla testa; mi hanno mandato sulla nave ospedaliera Gradisca e mi sono salvato. Una volta sulla nave si sono accorti che non avevo il tifo e mi volevano buttare a mare. Un infermiere tedesco mi ha derubato di tutto, anello, orologio e quel poco che avevo;  io ho cercato di dirlo e chi ha rubato forse è stato allontanato. In ogni caso, io quell'infermiere non l'ho più rivisto, ed è forse per questo che non mi hanno buttato a mare.

Mi vengono in mente altri particolari, immagini anche se non le colloco esattamente nel periodo; per esempio ricordo che, durante un tragitto a piedi, ci siamo fermati in una specie di castello,infestato da pulci, pidocchi, non si dormiva...

Il ritorno

La mia fortuna è stata a Patrasso sulla banchina, quando si sentiva dire che la nave Gradisca andava in Italia e ho capito che era meglio andare lì per tornare. Finalmente dopo un giorno o due siamo partiti, abbiamo impiegato 24 giorni per arrivare a Trieste, perché l'Adriatico era tutto minato. Ricordo che ci davano da mangiare solo miglio pelato, era inumano.

Quando abbiamo messo i piedi a Trieste, abbiamo capito che in Italia in un modo o in un altro saremmo arrivati a casa ma io stavo male, non mi reggevo in piedi, mi trasportavano, avevo la febbre alta, era malaria perniciosa.

Sbarcato dalla nave, mi hanno lasciato lungo i binari della ferrovia, per terra, la gente buttava fiori, ho gridato come potevo: "Vergogantevi! Andate via! Sono ancora vivo!". Qualcuno mi ha raccolto e poi con la tradotta mi hanno portato in ospedale ad Alessandria. Eravamo tutti soldati e in ospedale non c'era posto per noi, quindi ci hanno portato nella Casa di riposo liberata appositamente e solo lì ho avuto la possibilità di scrivere a casa.

A casa non capivano la mia scrittura, talmente stavo male, solo l'indirizzo. In precedenza avevano ricevuto una cartolina, inviata dalla Croce Rossa, in cui si comunicava che ero morto, non risultavo più, sapevano solo quello.

Non avevo più niente, al nostro arrivo ci avevano bruciato tutto, vestiti, scarpe, tutto tranne la cartella clinica o una sua copia e quando, dopo la mia cartolina, la mia fidanzata e mia sorella mi sono venute a trovare mi hanno portato un coniglio cotto nel latte, ero 34 - 35 kg e hanno faticato a riconoscermi.

Pian piano con le iniezioni di chinino ho cominciato a migliorare.

Eravamo tenuti d'occhio, perché eravamo sempre prigionieri dei tedeschi che temevano che noi raccontassimo quello che avevamo visto in Grecia, quello che avevano fatto a Cefalonia e da altre parti.

A casa

In seguito, poiché il Capitano medico era di Reggio, la mia città, mi ha aiutato facendomi dare una licenza. Quando sono arrivato a casa, temevo di far ammalare per contagio i miei, dormivo con mio padre e mia madre, avevo ancora di notte febbri alte, mi davano il chinino e pian piano ho cominciato a rimettermi. Avevo dato un indirizzo di casa falso ed il distretto militare ha cominciato a cercarmi una volta finita la licenza e mi son dovuto nascondere.

Avevamo seppellito una botte in campagna, per mio fratello che era con i partigiani, lì mi potevo nascondere; c'erano ancora i tedeschi e avevano formato un comando a casa nostra, mentre si stavano ritirando, nell'inverno fra il '44 e il '45. In un certo senso con i tedeschi ero al sicuro, perché chiedevano come mai fossi a casa, ero malato e mi lasciavano in pace.

Avevano, in quel periodo, fatto una strage in un paese vicino, uccidendo otto persone che erano sedute al bar. Di quel periodo conservo ricordi a frammenti: per esempio a mio padre i tedeschi hanno rubato una bicicletta Bianchi, che per noi rappresentava un tesoro, a mio fratello hanno puntato una pistola che ha fatto cilecca, lui è scappato e poi ha avuto l'itterizia e lo sfogo di sant'Antonio per la paura e da quel momento non sembrava più lui. Questo mio fratello ha fatto azioni partigiane, per esempio al campo di aviazione a Reggio con rivoltelle di legno ma dopo non ha preteso nulla, non come certi che hanno imbracciato il fucile per un giorno e poi hanno peteso il riconoscimento di partigiani.

Noi pensavamo solo a lavorare per vivere, eravamo tanti fratelli, una famiglia numerosa.

La Liberazione

Nell'aprile del '45 siamo andati, in tanti, nella caserma dei carabinieri di Correggio a disarmarli per il timore che andassero contro i partigiani, anche se loro non avevano nessuna colpa, poi in seguito sono passati gli americani, ci davano la cioccolata, qualcosa e sono passati e andati.

In quell'anno mi sono poi sposato e se penso a questa parte della mia vita, posso dire di non avere conosciuto la giovinezza.

 

Pour citer cette ressource :

"Mi ricordo...", La Clé des Langues [en ligne], Lyon, ENS de LYON/DGESCO (ISSN 2107-7029), janvier 2008. Consulté le 28/03/2024. URL: https://cle.ens-lyon.fr/italien/civilisation/xxe-xxie/fascisme-et-seconde-guerre-mondiale/mi-ricordo-